Qualche tempo fa mi ha scritto un’amica chiedendomi aggiornamenti sull’andamento della mia, relativamente recente, love story. Relativamente recente, perché è una relazione giovane, che dura solo da un anno e mezzo, non da dieci, non da venti. Allo stesso tempo, però, è una relazione ampiamente consolidata. Un anno è tantissimo nell’epoca delle dating app, delle one–shot, del sexting, degli amori i cui cicli di vita si misurano in ore. Insomma, è una storia di quelle che, se dovesse chiudersi, mi varrebbe legittimamente l’epiteto di ex (con qualsivoglia attributo dispregiativo accanto). Una relazione propriamente detta, non una malcapitata copula. Qui si parla di uno con cui avrò ricordi veri, pezzi di vita, risate e lacrime, leggendari amplessi, furibonde litigate, viaggi pianificati e amici in comune. Ecco, la mia relativamente recente love story è una cosa del genere. Soprattutto, è un fenomeno assolutamente eccezionale, al cospetto dei miei precedenti 6 anni di singletudine.
Ogni volta che mi chiedono aggiornamenti sulla mia love story mi viene l’ansia, il terrore di dire che le cose procedono bene (che poi “bene” non vuol dire perfette, sia chiaro). Mi faccio forza e, grattandomi, rispondo che ci amiamo (parrebbe), che ci capiamo e ci stimoliamo un sacco. Spiego anche che mi sembra (con le dovute cautele) di essere mediamente più felice di quanto fossi prima. La mia amica risponde con un profluvio di cuori multicolor su whatsapp, ma subito dopo mi fa notare che, per via del mio blog, non posso dichiarare pubblicamente una roba del genere.
“Perché?” le chiedo.
“Perché tutti saranno lì a romperti le palle: vedi? Allora era bugia che eri felice da single! Sei una donnetta media del cazzo! Ora sei fidanzata e dunque, guarda caso, sei più felice”, mi spiega.
Ci ho pensato. Mi sono chiesta se la mia serenità (relativa, perché sono geneticamente un’anima in pena, io), coincidente in parte con l’inizio di una relazione, potesse pormi in una posizione di incoerenza rispetto a me stessa. A ciò che avevo sempre pensato, detto e praticato. La risposta che mi sono data è “no”.
Quando ho professato i vantaggi della vita da single, non ho mai mentito. Non ho neppure finto di considerarla sempre una figata, non mi sono tatuata sul pube “Single is better” e non ho giurato eterno odio al genere maschile nella sua totalità, coltivando il sogno di un’evirazione di massa. Al contrario, ho sempre detto – e sottoscrivo tutt’oggi – che essere single è un’esperienza altamente formativa, un’opportunità e non una iattura, una scelta persino inconscia che in qualche modo compiamo. Ho sempre creduto che il single (immaginate la musica di Super Quark a fare da tappeto alle mie parole), quale che sia la ragione della sua singletudine, sia una persona impegnata nella ricerca, a volte inconsapevole e a volte lucida, di se stesso. E ho sempre pensato che quella ricerca abbia delle ragioni, che il cuore non può capire.
Essere single è un impegno a divenire, a definirsi come individuo in quanto tale senza avvantaggiarsi della prossimità simbiotica di un partner. Essere single è un’occasione per scavare nei propri interessi, per sperimentare, per assecondare la propria indole (a patto di averla accettata). Essere single offre lo spazio per autodeterminarsi, il tempo per scoprirsi e assolversi, la possibilità di vivere in stato di grazia con sé e con gli altri affetti, non necessariamente di natura sentimentale. Ovviamente non è sempre semplice, e neppure sempre possibile, ma la singletudine va compresa e valorizzata. Tutto questo, io, oggi, lo sottoscrivo. Tutti i vantaggi che ho riscontrato nella vita da single, e tutte le sue difficoltà, restano immutati. Essere stata single a lungo è come un’impronta impressa nell’anima, per me. Una parte di me resta single, anche se sono in coppia. Non c’è nulla di male, è semplicemente una porzione del mio corredo emotivo, psicologico e sociale.
Se ci pensate, oggi più di ieri, essere single oppure in coppia è una condizione transitoria (sebbene a volte duratura) dell’esistenza. Una variabile possibile, nel mare magnum delle relazioni, dei feticci, delle fantasie pruriginose e delle insoddisfazioni più purulente. La vita fluisce, cambia, noi possiamo intervenire sul suo corso e indirizzarla, ma non possiamo pretendere di contenerne in eterno l’impeto cinetico, l’imprevisto imprevedibile, l’imperterrito scorrere delle nostre esperienze. In parte, quel flusso, lo dobbiamo assecondare. È stato assecondando il mio flusso, invece di contrastarlo, che sono arrivata al punto di definirmi leggermente meno infelice di ieri. Non è che ho un fidanzato, non è che ho qualcuno che mi viene a prendere in stazione quando torno a Milano, non è che non ho più l’horror vacui delle vacanze. Per carità, sono tutti improvement, ma il punto non è questo. Il punto è che sono inciampata in un’esperienza figa, complessa, potente, sfiancante e assolutamente banale, volgarmente definita “amore”. Un’esperienza nuova e, a tratti, stupefacente.
Come la maggior parte delle persone, pensavo di conoscere già l’amore. Non solo: presumevo che non potesse stupirmi, che non facesse per me, che non fosse la mia materia. Lo trattavo con ambivalenza, lo snobbavo e lo bramavo, lo confondevo con il dolore, lo coglievo in tutte le sue sfumature più deteriori. Più mi dilaniavo, più mi persuadevo di amare. L’amore che fa bene, non sapevo neppure cosa fosse. Ne vedevo, a volte, traccia in alcune delle belle coppie che mi circondavano ma, di fatto, non l’avevo mai sperimentato. È stato sconvolgente e rivoluzionario, per me, scoprire che esisteva un intero universo di irrilevanti e straordinarie esperienze sentimentali che mi era ignoto, che potevo indagare, elmetto in testa e bussola in mano, come una giovane marmotta; un’inviata di guerra nella trincea delle relazioni post-contemporanee.
Così ho deciso di creare una nuova rubrica e di battezzarla “Illuminanti Banalità sull’Amore“, tanto per condividere con voi i risultati di questo esotico, eppure universale, esperimento, che è amare, amarsi, conoscersi, incastrarsi, interrogarsi, capirsi, eccetera. Non fraintendetemi però: quello che mi prefiggo di fare con questa nuova rubrica NON è consegnarvi un manuale su come trovare il marito perfetto; non vi sottopongo un compendio di utili suggerimenti comportamentali per farlo innamorare perdutamente di voi; non vi propino un decalogo infallibile per conquistare il rampollo dei sogni. Se è questo ciò che vi interessa, potete trovare una ricca letteratura di settore, scritta da autrici ben più autorevoli di me. Ciò che leggerete, al contrario, nelle prossime puntate, sono pretesti di confronto, occasioni di dialogo, spunti per conversare dell’amore, del sesso, del genere, delle aspettative, dei tradimenti e del rapporto con noi stessi. Non vi dirò di sposarvi e sottomettervi. Non vi dirò di arruolarvi nell’esercito delle nazifemministe, come certi le chiamano. Non vi detterò i tempi corretti per lo svolgimento di un flirt. Semplicemente, vi racconterò alcune cose che mi hanno aiutata a capire meglio un argomento del quale parliamo tanto e ignoriamo troppo. Per farlo vi racconterò di me, perché sono autoreferenziale, lo sapete, ma in qualche modo parlerò anche di voi. Non solo degli innamorati o dei cuori infranti; non solo dei single o degli accoppiati; non solo delle donne, o degli uomini; non solo degli etero, o dei gay, o dei bisessuali, o dei transessuali o dei pansessuali. Non solo dei giovani, non solo dei vecchi.
L’amore, per addizione o per sottrazione, è un argomento di tutti, un topic democratico, un tema sul quale chiunque ha qualcosa da raccontare, da ricordare, da dimenticare, da smaltire, da ammettere, da insegnare e da imparare. L’amore, che pare un tema relegato alla posta del cuore dei magazine femminili anni novanta, è argomento ben più nobile, che meriterebbe un trattamento assai più organico, vagamente formativo, il più possibile lucido, urgentemente sincero.
Vi consegnerò le mie “Illuminanti Banalità sull’Amore” (IBA, per gli amici), all’occorrenza corroborate da autori e testi che citerò man mano, per chi avesse voglia di approfondire. Parliamone ancora, parliamone meglio. Perché abbiamo bisogno di far chiarezza, proprio laddove tutto ci sembra ovvio. Mentre di ovvio, di certo, di scontato c’è sempre meno.
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Con l’occasione vi segnalo anche l’uscita di un’Edizione Straordinaria del VagiTalk, eccezionalmente tornato sui vostri display dopo quasi un anno di silenzio stampa!
Ti lovvo, a +7 da te (+8, lunedì diventeranno 42 gli anni) non ho ancora capito un cazzo di questa cosa così nobile.
In realtà, e questo grazzieaddio sto iniziando a capirlo, non ho capito un cazzo di me… E io ho vissuto da single il 90% della mia vita.
Storie importanti? Mezza e durata un attimo…
Capra sono! 😝
Ahahah ma no cara, l’amore è una disciplina nella quale si può imparare, ma non se ne sa mai abbastanza.
E non è questione di apprendimento, o di talento, o di impegno. Non solo perlomeno. C’è il sempre valido “fattore culo” che non si può non considerare. Nel senso, non è solo questione di fortuna/sfortuna (perché abbiamo sicuramente un potere sul nostro percorso) ma – per definizione – non è tutto nelle nostre mani. Quanto alla conoscenza di te stessa, tranquilla, che siamo tutti sulla stessa barca!
Intanto ti faccio gli auguri per il genetliaco e ti mando un grosso abbraccio!
“L’amore, per addizione o per sottrazione, è un argomento di tutti, untopic democratico, un tema sul quale chiunque ha qualcosa da raccontare, daricordare, da dimenticare, da smaltire, da ammettere, da insegnare e da imparare.”
Hai detto tutto con questo periodo, mitica!
❤ ❤ ❤ ma lo penso veramenDe!
Secondo me, hai usato anche troppe parole per dirlo, nel senso che una relazione non rende stabili o felici. Al massimo aiuta, come rende più orribile una brutta situazione, se non è la storia giusta. Insomma: una variabile indipendente, non una casella obbligata.
Verissimo. È vero pure che abbiamo un sacco di idee e di aspettative più o meno distorte su questo sentimento (attorno al quale, d’altronde, per secoli abbiamo costruito una vera e propria mitologia) e secondo me può essere interessante parlarne. Indipendentemente che si sia single o accoppiati perché il tema, nell’assenza e nella presenza, ci riguarda un po’ tutti, diciamo 🙂
stare in coppia non è mai semplice ma stimolante. La situazione del single è giustamente transitoria a meno che non cerchi qualcosa che non esiste oppure intestardrsi in qualcosa di sbagliato.
Il rapporto a due è complesso. ognuno dei due deve rinunciare a qualcosa, deve mediare tra il proprio istinto e il realismo di compromesso. Il compromesso non è mai riduttivo serve a prendere coscienza dei propri limiti e accettarli.
il rapporto a due è complessissimo. a pensarci bene, lo sono tutti i rapporti intimi, personali, che durano più di uno starnuto. le relazioni affettive, secondo me, che siano quelle parentali, che siano quelle amicali o che siano quelle sentimentali, sono un terreno affine, richiedono cose simili: capacità di autocritica, fiducia, cura, attenzione all’altro, compromesso, comprensione, accettazione. tutte cose di cui chiunque ha un viscerale bisogno e che chiunque deve imparare a offrire (oltre che a volere).
ci vuole molto impegno e ci vuole reciprocità. insomma…un bordello!
hai reso benissimo l’idea
Ma quella foto romanticissima abbracciati sul cesso è una meraviglia, la quintessenza stessa dell’amore!
E comunque, certo che essere single è formativo, e certo che non è una condizione che possa – almeno a mio modesto avviso – essere auspicata come definitiva. Siamo fatti per amare e per vivere insieme, e chi è solo, anche per scelta, pur vivendo magari bene la sua condizione, non vuol dire per questo che rifiuti l’idea di trovare un giorno qualcuno da amare con tutto il cuore. L’uomo è un animale politico, come diceva Aristotele, nel senso che è nato per stare in una “polis”, con gli altri. E, in senso più stretto, anche in coppia, alla perenne ricerca dell’unità perduta. Perché, a prescindere da quanto possa durare o dai progetti a lunga scadenza che possano venirne fuori (di cui alla nostra anima quando si innamora non importa un fico secco), è l’amore in sé che ci dà la gioia e l’energia per vivere e per potenziare le nostre capacità e i nostri talenti personali, per farci maturare e rendere realizzati e appagati come persone. In effetti siamo soli anche quando siamo in coppia, anzi, dobbiamo saperlo, perché l’amore è una cosa bellissima soprattutto nella misura in cui fa bene alla nostra individualità. Ci innamoriamo per noi stessi anche quando viviamo per l’altro e – il paradosso continua – possiamo ricevere così tanto per noi solo perché nell’amore abbiamo un immenso desiderio di dare. Starò very tuned, buon lavoro.
Tutto molto vero. La condizione sentimentale è transitoria, mai scontata e uno degli errori più frequenti è considerarla immutabile. Vale per il single che si convince che non troverà mai nessuno, o che non vorrà mai più nessuno, così come per chi alla coppia ci si abitua troppo in fretta.
Quando dici che l’amore è una cosa bellissima non hai torto, affatto, il punto è che secondo me abbiamo bisogno proprio di intenderci meglio quando parliamo di “amore”: cosa vogliamo? Cosa ci aspettiamo? Cosa siamo disposti a dare? E via discorrendo…
A questo punto non mi resta che darti appuntamento alla prossima puntata 🙂 ❤