Da questo tormentato periodo della mia esistenza, c’è una cosa che mi porto davvero a casa: la consapevolezza di non sapere, una specie di lucida ignoranza, o di socratica saggezza.
Per chi non ne fosse al corrente, sono co-autrice del libro al momento più discusso d’Italia. Da circa due mesi, con una notevole impennata nelle ultime settimane, la mia vita è stata scandita da una quantità imponderabile di messaggi, commenti, tag, link, stories, post, email, recensioni, videorecensioni, flame, polemiche. Le emozioni che ho provato in queste due settimane sono per me indescrivibili. Forse il soggetto del mio prossimo romanzo dovrebbe partire da qui e, naturalmente, da tutto ciò che accettare questo lavoro ha scoperchiato in me, nella mia vita, nella mia identità personale e digitale.
Forse dovrei partire dalla bambina che scriveva a mano, fitto fitto, e poi con la macchina da scrivere Olivetti, che era della nonna; e poi con il computer di casa, il fisso; e poi su 3 laptop consecutivi. Dovrei partire da lei e dovrei ricordarmi com’era e cosa voleva, e perché rideva, e perché piangeva. E perché scriveva tanto, e soprattutto cosa scriveva a 6, 7 anni, su una piccola agenda logora, omaggio di chissà quale banca locale.
Forse dovrei ricordarmi perché quella bambina è cresciuta pensando che scrivere fosse l’unico modo di stare al mondo e che quella fosse la sua ragione d’essere, se non l’unica, la più importante di tutte. Al punto da sacrificarne, negli anni a seguire, molte altre, tipo l’amore, la privacy, lo stipendio fisso, certe amicizie, l’equilibrio, la progettualità, il dentista e le gratificazioni spicce che a volte ci concediamo non perché servano, ma perché ci va. Al punto da ritenere che non fosse necessario imparare a fare altro, tipo cucinare, ballare, dipingere, gestire la burocrazia, fare regalini carini.
Quando circa un anno fa ho iniziato un percorso di psicoterapia, la domanda è sorta spontanea, come avrebbe detto Lubrano, e abbastanza in fretta: “È sicura di amare la scrittura?”
Certo che amo la scrittura! Scrivo, ergo sum! La scrittura è il mio modo di esistere, l’unico di cui non mi sia mai annoiata. L’unico momento in cui mi sento davvero a mio agio con me stessa. Ed è vero. Io sto bene quando scrivo una cosa bella, la gente la legge e mi dice “brava”. E perché una che sta bene così, si mette a scrivere un libro per il quale è oggettivamente improbabile che qualcuno le dica “brava”? (anche se, in realtà, molte persone me lo stanno dicendo, ma io mi curo solo di quelle che mi insultano).
Il fatto è che la scrittura per me è molte cose. Per esempio, un modo per raccogliere consensi, ammirazione, like, da ben prima che nascessero i social network. Il mio prof. di italiano disse che ero una narcisista e aveva ragione, ma questa è solo la parte più superficiale. La verità è che per me scrivere è stato un modo per rendermi accettabile. Per non essere invisibile, o per farmi notare positivamente. Per sedurre, per punire, per chiedere perdono. La scrittura è stata il mio strumento, il mezzo attraverso cui ho sempre espresso me stessa, nel pubblico e nel privato, e l’ho usata per scopi a volte nobili, a volte meno. Me ne sono servita per stare meglio, per placare il grido che sentivo dentro, con urgenza, come una valvola che serviva a sfogare ciò che mi faceva incazzare, oppure sognare, oppure soffrire. È stato il mezzo per sdrammatizzare e ironizzare, per scomporre i pezzi e provare a riorganizzarli (ma evidentemente io non sono Marie Kondo). Una scrittura di panza, in ogni caso, e posso dire che scrivere per tutta la vita è stato un buon espediente per sopravvivere, un ottimo scudo dietro cui proteggersi, un vessillo da ostentare se necessario. Tuttavia, non è stato un espediente altrettanto buono per crescere. Non sufficiente, perlomeno. E torniamo alla bambina che scriveva tanto, alla ragazza che non ha voluto deludere nessuno (pur avendo incidentalmente deluso moltissima gente) e alla donna che non ha le idee chiarissime su chi sia e cosa voglia per sé.
È stata moltissime cose per me, la scrittura, prima di diventare la fonte del mio sostentamento. Oggi è un lavoro, nel senso che la gente mi paga per ciò che scrivo, e se mi servono i soldi, per averli scrivo. Cosa c’è di male, esattamente, nel guadagnare dal proprio lavoro? Il danno alla cultura italiana? Su quello ho letto diverse risposte, più che intelligenti, e perfettamente esaustive. D’altra parte, se mi chiedessero di scrivere un libro con un serial killer, accetterei. Perché non avrei dovuto accettare una giovane influencer (oltre che per tutte le ragioni già espresse in un post su Facebook, interpretate dai più come una excusatio non petita)? Se mai, il problema, per me, è il cortocircuito tra personale e professionale. Come si fa quando ciò che sei (la scrittura), diventa ciò di cui devi vivere (sempre la scrittura)? È cannibalismo? Prostituzione? Collasso?
In questo periodo non ho nessuna risposta, ma so che le troverò. E c’è un metodo che mi piacerebbe applicare per cercarle, che si articola in 5 fasi:
1. Imparare che non sono sbagliata (non è sempre colpa mia, non faccio schifo, non è da questi particolari che si giudica un giocatore, direbbe De Gregori). Forse sono sbagliati i parametri che determinano la mia autostima, che a volte è eccessiva (di rado) e a volte è molto bassa (spesso).
2. Imparare a usare dolcezza con me stessa e con gli altri (basta questa severità, questo giudizio costante, questa visione negativa e rigida dell’universo)
3. Imparare che non sono quello che faccio (Tyler Durden direbbe anche che non siamo gli oggetti che possediamo)
4. Imparare a sentire le cose buone; attualmente io le vedo, vedo tutto, i pro e contro, ma sento solo (nella pancia, nel petto, nelle mani) i contro. E non va bene. Perché i pro ci sono, sempre, basta volerli vedere e provare a sentirli.
5. Ricordarmi meglio chi era quella bambina che scriveva tanto, e cosa scriveva. E perché poi di scrivere, bene o male, pop o trash, non ha più smesso, con presunzione, vocazione e dedizione. Ho bisogno che si fidi di me e che mi parli. E che si apra, con leggerezza, alle infinite possibilità del caso.
Senza questo periodo, e questo lavoro, probabilmente non ci sarei arrivata. Non avrei capito che se di questo devo vivere, devo metterci una distanza, cambiare prospettiva, prenderla meno sul serio e meno sul personale. Imparare che esistono molti altri modi di essere e che sovraccaricare di troppi significati qualcuno o qualcosa è sempre un errore. Forse avevo bisogno di questa crisi, di spogliarmi di una serie di aspettative sbagliate e di guardarmi nuda, nello specchio. Forse avevo bisogno di staccare, di crescere. Forse diventerò una scrittrice più adulta, più ricercata, o forse troverò lavoro in un Bar Tabacchi (il physique du rôle felliniano già ce l’ho).
Comunque vada, uscirò cambiata da questo periodo.
Snaturata, hanno detto certi. Svenduta, hanno detto altri.
Io dico cambiata, che era esattamente ciò di cui avevo bisogno.
L’ha ripubblicato su piapencil.
Sono contento per te, per il successo che ha il libro, e orgoglioso. È la dimostrazione che sai scrivere, e bene, e questo può bastare. Goditi il momento che sicuramente ne arriveranno anche di migliori.
Secondo me le critiche al fatto che tu abbia “co-”scritto quel libro ci stanno fino a un certo punto.
Non ho capito: un autore, per potersi definire tale, deve aderire a qualche principio “etico”?
Ci si aspetta forse che per vivere di scrittura automaticamente non si possa partecipare a progetti di cui si condivide – anche nel contenuto – ogni singola virgola?
Vagina, tieniti le domande che ti fanno comodo come spunto per cercare le tue risposte, ma non farti ingannare dai segni di interpunzione: non è un punto di domanda a dare un senso a quello che ti dicono, come non è la tipologia dei progetti ai quali aderisci a definirti a tutto tondo
checcazzo.
un grande abbraccio!!!
Io non conosco bene la De Lellis e il fenomeno, ho pure la mia età e quindi ci sta, ma il GF con lei è stato uno dei più divertenti, la ragazza era assai spigliata e dalla battuta pronta. Sinceramente, di quelli che non leggono Camilleri o X perché è mainstream, di quelli che non vedono questo o quello ne ho anche piene le balle. Se una ragazza è sveglia e con una marcia in più, non capisco perché attaccarla. Peraltro l’operazione è stata appunto fatta benissimo: lei da sola a scrivere un libro non se la sarebbe cavata. Goditi il successo e fregatene del resto, c’è pure molta invidia in giro
Sono d’accordo infatti. Non vengono criticati i giornalisti che intervistano assassini e criminali efferati, ma viene criticata un’autrice per aver scritto le memorie di una starlette. La De Lellis non la conoscevo e ho letto il libro perché adoro il tuo blog, quindi quando ho visto il tuo nome ci ho messo le mani. Lei continua a non piacermi, ma le riconosco l’onestà intellettuale di essersi definita leggera. La tua scrittura invece è meravigliosa, perché a dispetto della mancanza di un contenuto vero (dovuta alle esigenze narrative di Giulia), hai dato voce ai sentimenti di tante tantissime donne. Avanti così
Io personalmente soffro di un’aggressiva forma di pregiudizio nei confronti di quel popolo mercificato facente parte di U&D, Temptation Island, ospitate nei salotti televisivi vari ecc e dei relativi followers, analisi che utilizzo anche per scremare le persone con cui passo il mio tempo reale. Anche se il libro l’hai (co)scritto tu (che stimo, apprezzo e seguo volentieri) io di dare soldi alla De Lellis proprio non me la sento,scusami (ma presumo che il tuo cachet sia stato compensato indipendentemente dalle vendite e che i ricavi andranno solo a lei, quindi posso non sentirmi in colpa per aver intaccato i tuoi guadagni), però ci tengo a precisare che non ho mai dubitato della tua etica e integrità. Tutt’al più per dare una risposta alla domanda che ha colto me,e presumo molti altri, nei primi 5 secondi dalla notizia (‘STELLA COSA STAI FACENDO?’) La risposta più naturale che mi è venuta in mente è che avvicinarsi al mondo De Lellis (intesa come metafora generica, e non nello specifico a lei, Giulia) in realtà è la cosa più naturale che tu potessi fare. Proprio per i messaggi e per l’impronta forte dei tuoi testi che ci hai regalato in tutti questi anni, la cosa più ovvia che potesse fare una donna come te è proprio avvicinarsi ad una donna come Giulia, per scoprire, ampliare, annusare nuovi orizzonti, che la nostra comfort zone per quanto possa essere ampia e ricca rischia di avere sempre gli stessi colori. Quindi apprezzo il coraggio, non per esserti avvicinata al mondo De Lellis per te e per la tua carriera, ma per aver accettato di farlo pur sapendo che questo avrebbe fatto storcere il naso a molti. Come sempre tu insegni qualcosa.
Ammetto di essere molto snob su questo frangente ma evito i libri di vip e presunti tali, tanto meno seguo i vari personaggi che spuntano come funghi da reality e affini che non guardo (realty, talent e co.) per tutta una serie di ragioni che va dalla qualità del prodotto al fastidio verso una deriva sempre più marcata. Ma, per quanto riguarda te, posso capire che nel lavoro, perchè scrivere è il tuo lavoro, servano anche dei compromessi. La cosa importante è non svendersi nè vendersi in funzione della fama (e ne avrei uno in mente che bazzicava in questi lidi)
felicissimo per te. Lo meriti
Non saprei, Vagi. Certo, capisco che il successo del libro ti faccia piacere e in una certa misura ti inorgoglisca anche. Puoi pensare: “Tutto questo successo è dovuto alla mia scrittura, sono riuscita a rendere bella una cosa di per sé demenziale”, e magari è vero, non è escluso che tu sia una specie di Re Mida che trasforma in oro tutto quello che tocca. Naturalmente resta sempre il dubbio che le decine di migliaia di copie vendute siano state comprate da decine di migliaia di followers acefale. Che hanno, in seconda battuta, sì, magari apprezzato il modo simpatico e intelligente con cui avrai certamente fatto parlare la loro “influencer” preferita; ma in fondo è un po’ una mistificazione, perché la De Lellis sarà pure una brava ragazza per carità, ma permane un ragionevole dubbio sul fatto che abbia uno spirito all’altezza delle sue forme o che ne sia consapevole, quanto meno. E quindi, prestare la tua penna e la tua scrittura, frutto delle esperienze della tua vita, vissute tu sai quanto in profondità, alla di fatto celebrazione e sostegno di uno stile di vita, di modelli e di una rappresentazione della donna (la starlette televisiva superficiale e fatua che non ha mai letto un libro e se ne vanta) di cui non ci scandalizziamo più ma che spero saremo ancora padroni di non mettere tra i nostri preferiti – modelli e rappresentazione contro cui tu stessa ti sei sempre pronunciata assai chiaramente e polemicamente -; ebbene, tutto ciò, mettiamola come ci pare, rischia sempre di passare per un’operazione nella migliore delle ipotesi contraddittoria, chiamiamola così. Capisco che il lavoro sia lavoro e che uno debba pur mangiare e che le occasioni vadano colte e che averla colta ti abbia certamente – dato il successo del libro – aperto delle porte importanti. Lo capisco benissimo, mi rendo conto che tu ti stia ora rallegrando, ti stia dicendo che hai fatto bene e ti dico perfino che forse lo avrei fatto anch’io, al posto tuo. E non avrei potuto nemmeno dire: “L’ho fatto per soldi e per la carriera. Era una buona occasione per tanti motivi e l’ho colta, vaffanculo non ho ammazzato nessuno”, perché non sono Aldo Busi e non me lo posso permettere, e d’altronde nemmeno tu, con tutto il rispetto (spero che non vorrai paragonarti a Aldo Busi ;). Non ti biasimo e mi rallegro con te. Ma mi domando: Aldo Busi lo avrebbe fatto? Avrebbe messo in pagina la visione di Giulia o avrebbe raccontato la sua visione di Giulia? Tu hai scritto il libro per la De Lellis come Busi ha scritto quel capolavoro d’intelligenza e ironia che è “L’amore è una budella gentile” intervistando Liala? Hai ceduto la tua voce a lei o hai parlato di lei con la tua voce? Mi sembra un punto importante, per uno scrittore. Io non ho letto il tuo libro quindi la mia è una domanda non retorica. Senza voler venire a farti la morale, credimi, e poi non hai mica fatto da ghost writer a Adolf Hitler. Solo come spunto. Perché poi scriverai altre cose, perché hai dichiarato di voler dire cose utili e impegnate (cosa che peraltro uno scrittore non è affatto tenuto a fare), perché ti definisci femminista radicale, ti batti contro la mercificazione del corpo femminile, per la parità e la libertà nella sessualità e nelle scelte… e insomma… non lo so… il fatto che adesso un libro scritto da te decreti e rafforzi così platealmente il successo e la fama di una simpatica tizia che ha fatto delle foto su Instagram, dell’esibizione del suo corpo, di Novella 2000 e dei reality show la sua ragione di vita, diventando ancor più esempio di successo da seguire per le giovani donne in erba che a quindici anni guardano a lei come modello… insomma, devo confessartelo, in tutta umiltà, scusami se non sarò simpatica a dirlo… ma alla fine non è che mi faccia proprio impazzire.