Prima dell’estate, un’amica che ha lanciato una nuova newsletter (qui per iscriversi), mi ha chiesto di prepararle un pezzo. Tema: i figli unici. Io ho accettato con grande entusiasmo e, per chi avesse perso l’articolo, eccolo di seguito.
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Nonostante molte delle mie amiche si siano riprodotte, pare che in Italia non si facciano più bambini. Chi li fa, spesso si ferma al primo e dunque, negli anni a venire, ci saranno sempre più figli unici in circolazione. Le ragioni di questa condizione sono di facile intuizione: età media del concepimento sempre più alta, problemi di fertilità, rotture sempre più frequenti delle relazioni e il deflagrante impatto finanziario che i figli hanno sul bilancio familiare (bisogna considerare che la nostra è la generazione dei milleuristi, affetti da precarietà cronica, è già un miracolo comprare pannolini per uno, figurarsi per due o per tre).
A fronte di questa mutata situazione sociale, verrebbe da chiedersi chi siano davvero questi individui sprovvisti di fratelli e sorelle, oggetto di diffidenza per lunghe ere antropologiche, al punto tale che, quando ero bambina, solo i figli dei divorziati erano considerati peggiori di noi.
Così, da monofiglia quale sono, ho provato a cercare delle risposte e ho scoperto che è molto difficile fare un discorso sui figli unici che non sia tragicamente stereotipato. Partiamo dal sentito dire: i figli unici sono viziati, egoisti, egocentrici, possessivi, strani, soli, tristi, determinati ad avere sempre l’ultima parola, tirannici, convinti di essere speciali, terrorizzati all’idea di essere esclusi o abbandonati, eccetera (tutto piuttosto vero). A questo punto però vi chiedo: sareste pronti a testimoniare di non aver mai incontrato nella vita persone che godessero degli stessi “pregi”, e che magari avessero pure fratelli e sorelle? Io no, e mi sembra molto difficile tirare una linea che non contempli l’infinita varietà dei sistemi familiari nei quali noi tutti nasciamo e cresciamo, collezionando sicurezze antisismiche (finché la vita non le butta giù) e danni permanenti (che poi proviamo a correggere devolvendo cifre incommensurabili a psicoterapeuti, psichiatri, life coach e nutrizionisti, nell’età adulta).
Fatta questa premessa dovuta, condivido con voi alcune riflessioni sul tema, così che da un lato possiate essere più clementi con i vostri amici figli unici, e dall’altro possiate riflettere sulla scelta di mettere al mondo un solo figlio, valutandone bene pros e cons.
1) Innanzitutto, il figlio unico si risparmia il Trauma Originale di tutti i figli multipli, e cioè quel disdicevole fenomeno per il quale, d’un tratto, le attenzioni dei tuoi genitori si concentrano su un altro tizio, che arriva a frignare e a sequestrare le cure e i corpi di mamma e papà, oltre che spazi e giocattoli. D’altra parte, chi arriva per secondo o per terzo (dal quarto in poi si entra d’ufficio nel genere “Fantascienza neocatecumenale”), deve pure inserirsi in un organigramma familiare ben strutturato nel quale – poche palle – è comunque l’ultima ruota del carro, quindi sarà sminuito in quanto figlio minore, oppure più coccolato degli altri, dunque pronto a conquistarsi a maggior ragione l’antipatia dei maggiori. Questo per non parlare del più disgraziato di tutti, il figlio mediano, che non godrà né del titolo di “primogenito”, né di quello di “cocco di casa”. Ecco, questi sono danni morali che noi figli unici ci risparmiamo, o meglio post-poniamo, trasformiamo in turbe future, procrastiniamo semplicemente. La prima volta nella vita in cui scopriamo di non essere i “preferiti”, gli “unici”, i “migliori”, il mondo si capovolge, soffriamo di brutto, perché noi siamo, per definizione, abituati a essere i numeri uno. Primi e soli. Sovrani indiscussi della nostra infanzia.
2) A un certo punto, tuttavia, appare evidente che l’universo non si riduce al nostro nucleo primigenio e il mondo lì fuori è pieno di altre famiglie, di amici, di compagni di asilo, di scuola, di catechismo…una vera costellazione sociale alle quale siamo poco preparati e nella quale abbiamo un bisogno sordido di essere inclusi, accettati, voluti. Questo, per carità, vale per tutti, ma se cresci con fratelli o sorelle, ti fai le ossa sulla complessità dei rapporti umani, impari a parlare un linguaggio tra pari e a gestire le critiche (che quelle non piacciono a nessuno ma, ommioddio, noi figli unici quanto vi odiamo quando osate muovercele). Magari c’hai un fratello maggiore che ti bullizza in casa, magari ti rendi conto che tuo padre o tua madre hanno una preferenza per l’uno e per l’altro figlio e impari in fretta che la vita è ingiusta e gli esseri umani fallibili. È una specie di vaccino, crei un vulnus al centro del tuo io che ti aiuta a relativizzare molto di più gli incidenti interpersonali esterni (contrariamente a quanto facciamo noi che a ogni smentita, ogni tradimento amicale, ogni delusione sentimentale, andiamo in una specie di coma identitario irreversibile, anche se magari non lo diamo a vedere e veniamo considerati “più sicuri di noi stessi”, cioè più arroganti).
3) Un’altra cosa che succede spesso ai figli unici, è che imparino molto bene a stare in mezzo “ai grandi” (che di per sé è una figata, sia chiaro), il che spesso comporta che stanno meno bene tra quelli della loro età. Inevitabilmente e necessariamente, il figlio unico vive un sistema triangolare con i genitori, nel quale le tensioni (positive e negative) si concentrano su tre individui, invece che su quattro o cinque. Così finisce che, magari, a 6 anni sai parlare benissimo con persone di 35, hai una sensibilità affilata e pungente, ma quando ti ritrovi al tuo posto, e cioè dove ci sono altri 6enni, sei a disagio. Da bambina i miei sport preferiti erano il nuoto, il tennis e lo sci. Tutti con interazioni interpersonali ridotte all’osso. Spirito di squadra? Ma quale squadra! Quando fui obbligata a fare pallavolo, perché ai tempi tutte dovevamo essere Mila e Shiro, io lo vivevo come un supplizio maledetto. Una specie di piaga che mi veniva inflitta per una colpa che non avevo. Il primo giorno di scuola elementare, tutti, ma proprio TUTTI in classe piangevano perché volevano la mamma. Io li guardavo e pensavo: POPPANTI. Il mio consiglio, ai genitori di figli unici è: provate a far crescere i vostri figli a stretto contatto con i loro coetanei, insegnate loro che è importante, ma poi fatevene una ragione, preferiranno sempre amici e fidanzati più adulti.
4) Un’altra cosa sulla quale dovreste rassegnarvi, è che i vostri figli saranno viziati. Non i più viziati del mondo, ci saranno sempre figli di imprenditori-avvocati-luminari della medicina ben più viziati dei vostri, ma i vostri lo saranno comunque. Magari non materialmente, ma emotivamente sì. Io, per esempio, ho ricevuto molti “no” veniali nella mia infanzia (oltre a molti “sì”). Tuttavia, sono stata abituata ad avere tutte le attenzioni per me, e oggi, che sono una donna sapiens adulta, quando parlo pretendo un’attenzione totale e i bulbi oculari dell’interlocutore devono essere fissi sulla mia persona. Se quella si distrae, guarda altrove, impugna il telefono, io smetto di parlare. Non è “normale”, me ne rendo conto, ma è così.
5) Un altro fronte che suggerisco di presidiare attentamente, è l’attenzione agli altri. Il figlio unico, povero cuore, non è abituato a dividere gli affetti, gli spazi, gli oggetti, il cibo, and so on, e per questa ragione, spesso, conquista l’avversione del resto del mondo e viene tacciato di egoismo, gelosia per cose e persone, disattenzione al prossimo, necrofilia e crimini assortiti contro l’umanità. Insegnate ai figli unici a lasciare che a volte scelgano gli altri, rubate loro un po’ di cibo dal piatto perché prima o poi parteciperanno alle cene con gli antipasti da “sharare” e soffriranno, esortateli a prestare giocattoli, fumetti e vestiti, e anche a condividere spazi (gite, pigiama party, vacanze in cui vi accollate pure i figli dei vicini e cose così). Insegnate loro l’arte della negoziazione e del compromesso, altrimenti si rifugeranno nella prevaricazione, oppure faranno un’enorme fatica, da adulti, portandosi appresso uno svantaggio irrecuperabile, come quello che c’è tra chi pratica uno sport fin da bambino e chi decide che forse è il caso di iniziare a fare moto a 40 anni perché ha il mal di schiena. Non saranno mai flessibili come chi è cresciuto con 3 fratelli, ma almeno non si trasformeranno in disagiati da emarginare.
6) C’è un altro fattore da tener presente: il figlio unico vive una condizione assolutamente peculiare nel suo mondo familiare più stretto, e cioè l’assenza del contraddittorio, del termine di paragone, del conflitto domestico con un simile. La sua specialness non è messa in dubbio, mai, e non conosce minacce. Affronterà il mondo con l’aspettativa che questa specialness gli venga riconosciuta, farà di tutto per confermarla (e questo è un aspetto positivo, se vogliamo, in linea con alcuni studi che dimostrano come i figli unici siano meglio focalizzati sui propri obiettivi professionali), e si accollerà da solo tutte le aspettative genitoriali poiché, in assenza di un fratello perfetto, non potrà concedersi il lusso di essere troppo deludente. Il rischio inverso, semmai, è che quel figlio si senta troppo speciale e soffra, poi, accorgendosi di non essere mica un granché. Per evitare questa dinamica, cercate “semplicemente” di non sovraccaricarlo di valore, di non over-proteggerlo e di aiutarlo a definire la sua forma senza convincerlo di essere unico. Lo sa già, che per voi è unico, ma voi non siete tutta la società civile e questo è un malinteso da chiarirgli il prima possibile, per il suo bene.
7) Last but not least, il figlio unico è più solo. Anche se ha amici, cugini, parenti, cani, gatti e pesci rossi; anche se impegna il suo tempo libero in attività collettive e non con uno schermo. Potrete fare del vostro meglio ma sappiate che il figlio unico è comunque più solo, per definizione. Questo non è detto che sia motivo di sofferenza, in gioventù, ma può diventare un fardello di variabile entità nell’età adulta. Oggi, che ho 33 anni, di fronte all’invecchiamento dei miei genitori (che comunque sono ancora relativamente giovani), mi chiedo spesso: sarei meno terrorizzata, se sapessi di poterlo affrontare con un fratello? Avrei meno paura di restare sola al mondo? Mi rincuorerebbe commentare la mobilità che si riduce dell’uno, o i primi cenni di rincoglionimento senile dell’altro, con una sorella? Forse sì. Forse no. Ma nel rispondermi, non riesco a non considerare gli imprevedibili esiti dei legami familiari: fratelli scannati per l’eredità, faide fondate su un mancato invito alla cena di Natale, rancori eterni, risentimenti atavici, totale incapacità di accettarsi e volersi bene, di chiarirsi e rispettarsi.
Forse avere più figli, non vuol dire necessariamente avere figli più felici. Forse discutere l’assetto della Famiglia, come se esistesse una cifra perfetta, una ricetta infallibile, un’opzione in sé migliore delle altre, è sbagliato. Le famiglie sono gruppi di almeno due persone, sono universi pieni di diversità, nevrosi, influenze. Ci condizionano, ci danneggiano e ci proteggono, ma l’unico ingrediente davvero essenziale, è l’amore. Che facciate un figlio unico o una squadra di rugby non importa. L’unico modo per crescere bene è crescere amati, accettati, liberi. Questa è l’unica risposta che ho davvero trovato, su questo argomento.
parenti serpenti: essere figlia o figlio unico non è poi male🎸
Ho avuto una famiglia stramba, quindi – nonostante sia figlia unica – mi ritrovo in pochi presupposti
ma condivido le considerazioni!
Che dire di mio fratello? 😂
La cosa della solitudine e quella del coma identitario irreversibile al primo sgarro subìto sono così vere che fanno male. E anche tutte le altre. Grazie 😘
Condivido ogni singola parola!
Da figlia unica problematica(e cresciuta) quale sono devo dire che è un articolo tristemente illuminante.. Bravissima!
figlio minore? Uhm! considerato il cocco, sono quello che si sobbarca il peso di tutti i problemi. Tanto sei il più giovane.
Hai perfettamente descritto la mia vita da figlia unica. Grazie :-*
Noi siamo due sorelle, e io ho tre figli. Sono sempre stata “contraria” al figlio unico, ove possibile, quasi per principio. La motivazione che do è solitamente che i genitori invecchiano in due, e almeno se i figli sono più di uno si dividono il “lavoro”. In realtà con mia sorella mi sono sempre scannata, finchè per i casi della vita ci siamo trovate ad avere figli negli stessi anni, e lì ci siamo unite tantissimo. Quindi la gestione dei genitori (ancora giovani) è passata decisamente in secondo piano.
Posso dire, per quanto riguarda la mia esperienza da non-figlia unica, che crescere insieme è bello. E sono tantissimo, tantissimo d’accordo con la tua considerazione finale. Spero di applicarlo anche ai miei, di figli.
“sono stata abituata ad avere tutte le attenzioni per me, e oggi, che sono una donna sapiens adulta, quando parlo pretendo un’attenzione totale e i bulbi oculari dell’interlocutore devono essere fissi sulla mia persona.” quant’è verooo!! quanto odio quando per caso sto facendo un discorso, raccontando qualcosa, qualsiasi evento X interrompe il mio discorso e non mi viene subito detto “allora stavi dicedo?” e la cosa finisce li! un odiooo xD
Grazie da una figlia unica che si riconosce in quasi tutto! ♡