Io sono di Taranto. Ce l’avete presente, Taranto?
Quella città del sud Italia, ex colonia della Magna Grecia, disposta in posizione strategica nel Mediterraneo, al centro di un golfo creato dalla Puglia e dalla Calabria che si allungano nel mare come un abbraccio?
Ecco, io vengo dall’incavo del tacco d’Italia, a pochi chilometri dal cosiddetto Salento, da Taranto.
Lì ci sono il Mar Grande e il Mar Piccolo (in foto); i pali delle cozze e un porto industriale; due colonne doriche in Piazza Castello, e l’Eni; la Marina Militare e un Ponte Girevole che si apre per consentire il passaggio delle navi giganti.
Taranto ha un litorale meraviglioso, ricco di insenature e suggestioni, sul quale si consumano cotidie tramonti di indescrivibile bellezza.
Un castello aragonese e un museo pieno di anfore e gioielli antichi (grazie a Di Maio ora lo sanno tutti).
Ma a Taranto c’è anche la più grossa industria siderurgica d’Europa: Arcelor Mittal, ex Ilva, ex Italsider.
C’è tanta di quella roba che Taranto dovrebbe essere una città prospera, ricchissima, e invece no. Taranto è una città abusata, svuotata, impoverita, dimenticata, ammalata.
L’industria le è stata costruita addosso: il famoso quartiere “Tamburi” esisteva da prima, ed era un quartiere buono, non un sobborgo operaio.
Tamburi è la parte più alta della città e deve il suo nome al rumore del vento, che batteva sul territorio, portando frescura. Oggi (se “oggi” può significare gli ultimi decenni di storia), quel vento porta polveri sottili.
Quando soffia, nei cosiddetti “Wind Day” il comune consiglia agli abitanti di tapparsi in casa e chiudere bene le finestre; di non mandare i bambini a giocare all’aperto; di nascondersi tutti, come topi.
Io sono di Taranto e, per tutta la vita, ho visto la gente morire di tumore.
Nel corso del tempo, la città e la cittadinanza si sono trasformate in un accessorio della fabbrica, un agglomerato umano che vive e muore in funzione della produzione dell’acciaio. L’a mia città è come un inventario disgraziato di uomini, e donne, e bambini, da sacrificare sull’altare del Capitale. Immolati in nome di Madre Economia. Fine della storia.
Voi vi chiederete, a questo punto, ammesso che stiate ancora leggendo: ma la politica?
La politica non è all’altezza della situazione. Nessuna politica. Non è questione di destra, o di sinistra, o di 5 stelle.
Taranto è il luogo nel quale TUTTI i sistemi della democrazia industriale e capitalista hanno messo in scena il peggior fallimento possibile. Probabilmente non è l’unico luogo nel mondo, ma è uno dei principali in Europa.
Sì perché, a quanto pare, Taranto è un tema importante a livello europeo, un asset fondamentale dell’economia non solo italiana ma addirittura continentale! Taranto è importantissima, o meglio la sua industria lo è, così tanto che nella ruggente epoca delle privatizzazioni è stata svenduta per quattro soldi. Cosa significa? Significa che hanno preso un’industria dello Stato e l’hanno venduta a un privato, cioè a un imprenditore, uno che per definizione pone come primo (e spesso unico) obiettivo il profitto. Non il benessere del territorio. Non la sicurezza dei lavoratori. Non la salute dei cittadini. Solo e soltanto il profitto incondizionato, in una repubblica fondata su connivenze e mazzette.
Io sono di Taranto e per tutta la vita ho visto la gente morire di tumore.
A Taranto chiunque di noi ha almeno un parente o un amico che lavora con l’acciaio. E chiunque di noi ha almeno un parente o un amico che è morto con l’acciaio. Adulti, bambini, vecchi. Maschi e femmine. Ricchi e poveri. Il cancro è democratico, colpisce chiunque, a qualsiasi età, di qualsiasi partito, religione, orientamento sessuale.
La malattia in sé non discrimina, ma naturalmente i più poveri, o i più ostinati, quelli che dal quartiere Tamburi non sono scappati, s’ammalano e muoiono di più. Ma non è una gara. Di base s’ammalano e muoiono un po’ tutti.
Certe volte nascono già malati, e sopravvivono per pochi mesi o pochi anni.
Questo quando l’elevata incidenza di endometriosi rende possibile la gravidanza.
E c’è sempre da sperare che il latte materno non contenga tracce di diossina.
Vedete, uno non ci pensa mai: in genere si parla dei morti, che la morte è l’evento più traumatico che ci colpisce in quanto umani; ma la morte è solo un aspetto della faccenda ed è quello che pertiene a chi non c’è più. Eppure ci sono tutti gli altri, quelli che restano.
Provate a immaginare cosa significa essere circondati da cittadini malati, da esseri umani per i quali è solo questione di tempo, da persone a cui il minerale si è depositato nel pensiero. Pensate a cosa significa vivere assistendo o partecipando a tragedie private continue.
A 18 anni, a Taranto, puoi votare, puoi guidare la macchina, e hai già visto morire un buon numero di persone a cui volevi bene.
Hai visto le famiglie spezzate e hai sentito le ferite aperte, e mai sanate, in ogni singola anima cui è stato prematuramente negato un affetto fondamentale, o il fondamentale diritto alla vita.
Mettete a fuoco le gioventù interrotte bruscamente, non perché ti sei schiantato il sabato sera tornando dalla disco, ma perché tua madre s’è ammalata di tumore al cervello ed è morta in un mese. O tuo padre, al fegato, in 8 mesi. O tuo zio, che ce l’aveva nel sangue; o tuo fratello, nel polmone; o tua figlia all’utero; o la tua sposa al seno; o il tuo bambino che ha appena tre anni e non ce la fa, contro le metastasi.
È di questo che si parla, anche, quando si parla di Taranto. Non solo del prodotto interno lordo.
Immaginatevi come sia vivere cercando un armistizio costante con la morte. Chiedendosi quanto tempo resta, prima che ciò che sta succedendo a tutti i tuoi amici e ai tuoi conoscenti, capiti anche a te e ai tuoi cari. Prima che la peste nera contagi la tua esistenza, segnando in maniera indelebile la tua storia personale, da più fronti, in contemporanea.
Chiedetevi come sia ammalarsi senza avere neppure un sistema sanitario all’altezza dell’emergenza in corso.
Chiedetevi come ci si senta a vivere dentro un disastro ambientale che si sa benissimo che sta succedendo, ma che vuoi farci, una soluzione non c’è, e poi ce ne sono tanti di posti inquinati in Italia, no? Mica solo Taranto…pensa alla Terra dei Fuochi!
Giusto! Se solo non fosse che la Terra dei Fuochi (ma magari sbaglio) è conseguenza di attività illecite della malavita che lo Stato combatte (con più o meno efficacia).
Le attività illecite condotte a Taranto, al contrario, sono protette, garantite, incoraggiate persino dallo Stato, da sempre.
Il fatto che Michele Riondino, anni fa, abbia strappato la tessera elettorale in diretta tv, non è una pura provocazione ma la dimostrazione empirica del sentiment di un popolo, la conseguenza diretta dell’abbandono a cui Taranto è stata lasciata.
Quando parlate di Taranto dovreste rendervi conto che lì, in ogni famiglia, di ogni cittadino, di ogni amico, di ogni fidanzato o fidanzata, e marito o moglie, c’è una matrice di morti causate da tumori, altamente riconducibili al disastro ambientale in atto da DECENNI e per decenni perpetrato, con la complicità di TUTTI. Quando dico tutti vuol dire tutti: la politica, la chiesa, i media, gli organi di controllo, i sindacati.
Fulvio Colucci e Lorenzo D’Alò, nel bellissimo libricino Ilva Football Club, scrivono che “il degrado ambientale e il degrado umano diventano la stessa cosa” e hanno ragione. Credetemi.
In tutto questo, c’è il dramma quotidiano degli operai, quelli citati a sproposito da Salvini insieme con la Vergine Maria e la sagra del cinghiale della Val Brembana.
Ci sono le vite di chi preferisce lavorare e ammalarsi ma avere qualcosa da far mangiare ai figli alla sera.
E ci sono le vite dei cittadini, che vorrebbero solo respirare, lavorare, amare, crescere come succede in molti altri posti ma non possono. Essi vivono sotto il costante, subdolo ricatto: SALUTE o LAVORO? Questo è il dilemma.
Chi è colpevole? Tutti, meno che i tarantini.
Sì, perché diciamolo una buona volta: io mi sono rotta il cazzo di sentirmi dire che noi tarantini siamo disinteressati, siamo svogliati, siamo pigri, siamo terroni.
Ce m n futt ammé, chi se ne fotte, cosa me ne importa.
Si dice spesso, a Taranto, per indicare l’atteggiamento esistenziale tipico del tarantino medio.
Ce lo diciamo da soli, che la colpa è nostra, da sopra.
Il problema di Taranto non è Taranto, ma i tarantini.
Sapete che c’è? NON È VERO!
Il problema di Taranto non si può risolvere dal basso. Ci hanno provato, ci provano, sono dei fighi quelli che fanno il concertone del 1° maggio, o i documentari shock, okay, ma qui si parla di una lotta ingiustamente impari, perché il problema di Taranto è economico, ambientale, politico, sociale, internazionale, altroché “locale”.
E mi sono rotta il cazzo di sentirmi dire che i tarantini sono passivi, come se fosse colpa loro essere nati e cresciuti in quella realtà (l’indottrinamento inizia molto presto, io a 12 anni conoscevo perfettamente il processo di produzione dell’acciaio ed ero in grado di disegnare la sezione di un altoforno; lo studiavamo alle scuole medie; alcuni sono stati portati all’Ilva in gita scolastica, e non sto scherzando).
E mi sono rotta il cazzo di sentir parlare dell’indotto, del PIL, dell’import-export. L’aut aut tra salute e lavoro è INACCETTABILE. È una cosa che NON DEVE esistere in un paese civile! Non è un rompicapo che i tarantini devono sbrogliarsi da soli. Non è un martirio volontario per il quale non avremo nemmeno la medaglia da eroi, o una misera targa con su scritto “Morirono per il bene dei bilanci delle aziende italiane”.
La vita dei tarantini non vale meno di quella degli altri (dei liguri, per esempio).
Non è un prezzo che qualcuno deve pur pagare. Soprattutto, non devono pagarlo i bambini di Taranto, per tutta Italia e tutta Europa.
E mi sono rotta il cazzo anche di sentir dire che i tarantini sono stati SCEMI a credere alle fesserie promesse dai 5 stelle. Sì, boh, forse sì, forse no, ma di cosa stiamo parlando? Il tema è un altro: a chi avrebbero dovuto credere?
Alla destra che difende le aziende mentre si incazza con gli immigrati?
Alla sinistra delle banche che sigla decreti per far continuare la produzione, contro i sigilli della magistratura?
A Provenzano che da Formigli ci spiega che bisogna pensare all’immagine che l’Italia dà agli investitori stranieri? Ai magnati dall’estero?
Ma dico, ce la facciamo? No perché allora vale tutto, anche il terrapiattismo. Oppure vale la pena di ammetterlo, una buona volta, che la sinistra è morta, ma morta davvero, e che il suo cadavere giace putrefatto a Taranto, nei pressi dell’altoforno 2.
Viceversa, Ministro Provenzano, lei che si occupa del sud e che è parte di un partito che idealmente, ancora, ambisce a definirsi pallidamente come “sinistra”, ci spieghi: chi pensa ai cittadini di Taranto?
Se lei si preoccupa di non allontanare i capitali stranieri, chi si preoccupa della salute, della sicurezza e della dignità degli operai tarantini? E chi si preoccupa anche degli altri lavoratori: i contadini, gli allevatori, i pescatori, il settore turistico e commerciale che hanno visto le proprie economie falcidiate a causa dell’inquinamento?
Chi si preoccupa del mare? E dell’aria che si respira? E del cibo che si mangia?
Chi sta dalla parte delle persone e dell’ambiente, e chi dalla parte dei capitali e dei bilanci?
Chi cazzo siete? Chi siamo per voi?
Chi ci sta dalla parte dei più deboli, Signor Ministro?
Nella vicenda, senza andare alle calende greche, esistono dei responsabili ben precisi. Che sono chi ha finalizzato il contratto, salvo poi modificare la prima volta la legislazione in essere alla chiusura del contratto la prima (non andata a buon fine) e la seconda (l’attuale) dando all’azienda (che ovviamente fa il proprio interesse) a ricusare il contratto (e si spera a non chiedere anche un risarcimento danni).
Il contratto siglato in base alla gara prevede la bonifica degli ambienti e la messa a norma della fabbrica. Una decaduta dello stesso porrà l’ILVA nella situazione per cui si dovrà rifare la gara o peggio nazionalizzarla. Nel primo caso, visto che l’unico interessato era il maggior player mondiale nella produzione dell’acciaio, difficile che si presenti qualcun altro, per cui nel migliore dei casi andrà a qualche cordata farlocca di amici degli amici, per due lire e che verrà rimandata al mittente quando presi i fondi si vedrà che è solo un colabrodo. Un film già visto ampiamente con Alitalia, per intenderci. Se invece verrà nazionalizzata, difficile che lo stato abbia tempo e risorse per poter bonificare/rilanciare o riqualificare (in cosa poi non è chiaro a nessuno) l’azienda. Avremo una nuova Bagnoli, con uno strascico di morti perfino peggiore di quello attuale.
Ma soprattutto non si avrà NE’ IL LAVORO e NE’ LA SALUTE. Così, per la felicità di tutti, avremo finalmente risolto il dilemma e non ci dovremo preoccupare del PIL.
La politica è morta da secoli non ora,oggi esiste solo il Dio soldo.
In rock we trust🎸🤘
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ti abbraccio.
La penso come Giuseppe e credo che non si arriverà presto a una soluzione che salvi salute e lavoro; tuttavia, tra questi due diritti, ritengo che sia più importante la salute perché si continua a morire di cancro e quello non lascia scampo mentre senza lavoro non si muore di fame in uno stato occidentale come l’Italia in cui comunque esistono sostegni economici, inoltre senza lavoro ma con la salute si può emigrare (e tu stessa ne sei un esempio vincente), con il lavoro ma continuando a morire di tumore non si va da nessuna parte. Alle volte occorre fare scelte drastiche perché non si può avere capra e cavoli, non nel breve periodo (che è il lasso di tempo in cui i tumori mietono vittime)
Ogni tanto capito all’Ilva per lavoro, tipicanente per sopralluoghi propredeutici a lavori che non verranno mai effettuati o finiti. Comunque, il caso Ilva non è affatto un rompicapo ma a livello istituzionale non c’è nè volontà nè convenienza a risolverlo. L’unica fatto certo è che la situazione ambientale rimarrà invariata ed economicamente l’acciaieria sarà sempre meno sostenibile economicamente.
Hai reso il pensiero di molti in maniera molto chiara. Il pensiero soprattutto di chi vive da quelle parti.. Io sono di Martina Franca… e si parla di questo da sempre…mio padre ha lavorato tutta la sua vita nell’indotto ed ci ha sempre raccontato tutto questo…
Condivido quanto dici..
il problema nasce da lontano, quando ci s’è accorto che i veleni facevno morire. Anziché imporre di risanare l’ambiente e mettere il bavaglio alle polveri, si è preferito fingere che fosse un non problema. Fare quello che altri stabilimenti come quello di Taranto hanno fatto molti anni fa.
Adesso? E’ un bella patata bollente, perché mettere in contrapposizione Salute e Lavoro equivale a mettere su sponde opposto genitori e figli che si fanno la guerra.
Chiudere l’ex… – troppi ex ma ci siamo capiti – ha un costo sociale insopportabile, tenerla in funzione pure. Una via di mezzo non esiste e comunque non sarebbe indolore. E chi ci rimette? sono i tarantini.
Per mia natura Non conosco l’invidia ho letto più volte il suo articolo su Taranto …ho sempre avuto profonda ammirazione per le persone che sanno scrivere …purtroppo non è mai stato un mio talento .
oggi per la prima volta ho provato una punta d’invidia al punto di convincermi che dovevo dirglielo …brava
Mi sono imbattuta per caso in ciò che hai scritto….. finalmente! Era ora! Ciò che penso non è solo il mio punto di vista! Lo ritrovato in ognuna delle tue parole giustissime su tutto. Hai colpito il segno…basta sentire cazzate in TV ! Questa tua andrebbe letta in ogni trasmissione in cui tentano di sviscerare il problema Taranto, ma che fallisce miseramente con tutte quelle frasi ascoltate e scontate da anni!!!!! Salvini Salvatore degli operai…quel Calenda…insopportabile e poi tutti..e scrive una che era di sinistra…con questa vicenda e venuta giù la maschera a tutti….la loro incapacità di creare sviluppo la dobbiamo pagare noi come se tolto l’acciaio diventerebbe un Paese Zombie…e quindi lasciano che gli zombie continuiamo ad essere noi! Basta con i tarantini che vivono fuori che scrivono che siamo dei parassiti…quanto hai ragione!!!!! Quanto hai ragione quando dici che viviamo psicologicamente condizionati…quando toccherà a me visto che intorno amici familiari conoscenti vengono giù come niente!…. concludo dicendoti brava e grazie….a proposito: anch’io ho fatto visita guidata in Italsider allora erano gli anni ’70 e in educazione tecnica alle medie sapevamo tutti cos’era un altoforno corredato da disegni fantastici!!!
L’Italia è un paese senza più speranza e Voi tarantini siete l’emblema del disastro in cui da tempo siamo caduti. Tutti ! La responsabilità è di tutto il paese che alla fine non si è mai ribellato unitariamente. Non siamo un popolo da rivoluzione, non lo siamo mai stati ma qualche volta tale pensiero dovrebbe sfiorarci !
Non posso aggiungere null’altro a quello che hai scritto tu, solo dirti che non sono di Taranto sono del famoso nord produttivo, ma sottoscrivo ogni singola parola che hai scritto in questo post.
Sono di Taranto anch’io. Applausi a Stella Pulpo.