Qualche giorno fa, la mia bolla era molto presa a commentare il dimagrimento di Adele. Non è più la stessa… Stava meglio prima… Bella sempre, però è irriconoscibile… Ora sembra una delle tante… e via discorrendo.
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Pochi giorni prima, un’altra polemica aveva animato la piazza virtuale, e si trattava dell’acconciatura di Giovanna Botteri che, secondo certi, dovrebbe pettinarsi meglio, lavarsi più spesso i capelli e possibilmente ogni tanto indossare una maglia diversa.
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Pochi giorni dopo, invece, è stata liberata Silvia Romano, dopo un anno e mezzo di prigionia, e nella generale cloaca di commenti che ne è derivata, si è dibattuto molto del suo aspetto, dall’abbigliamento al peso, passando per il suo stile che, in effetti, chi avrebbe potuto immaginarlo, è un po’ cambiato rispetto a quello di due anni prima (e non voglio entrare nel merito della questione religiosa, perché non è questa la sede appropriata, e perché mi stomaca l’idea di mettermi a rispondere a tutte le robe che ho mio malgrado letto).
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Questi temi, che sono apparentemente distanti, hanno un unico, trasversale, gigantesco denominatore comune, che affonda le sue radici in millenni di storia e di accanimento culturale: il corpo delle donne, ebbene sì.
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Noi, signore e signorine, dovremmo farcene una ragione: abbiamo un problema perché abbiamo un corpo e il nostro corpo, anche quando ci piace, anche quando abbiamo imparato a volergli bene, ad accettarlo, a non odiarlo per ogni minima difformità rispetto a uno standard etero-imposto; anche quando abbiamo deciso cosa farci, come abbigliarlo, quanto depilarlo, con chi condividerlo consensualmente; anche quando l’abbiamo affrancato da mutilazioni e soprusi, rimane pur sempre un problema per la società. È un oggetto pubblico che deve superare il vaglio di una spietata corte di giudici autoproclamati, uomini o donne che siano. Il corpo è nostro ma è pur sempre di tutti, un affare condiviso, esposto al voto, al ludibrio, al consumo collettivo e, in virtù di ciò, deve rispettare certe regole precise per inserirsi nel consesso civile senza destare troppo scalpore o, al contrario, per riscuotere il meritato consenso (senza il quale non esistiamo, diventiamo zimbelli, veniamo sminuite indipendentemente dal talento artistico che ci è valso un successo planetario, da decenni di professione giornalistica esercitata nel mondo, o dal coraggio di partire volontariamente per andare ad aiutare persone meno privilegiate di noi…). La donna è innanzitutto il suo corpo, in senso estetico, politico, culturale e riproduttivo (che, senza offesa, ha poco a che vedere con il body-shaming al contrario, che pure esiste per carità, ma il peso della sovrastruttura che grava sulla storia femminile non è comparabile alla tartaruga contemporanea, alla metrosessualità o allo stigma della calvizie… sorry, nessuno intende minimizzare, ma il discorso qui è più ampio).
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Innanzitutto, quello della donna deve essere un corpo non-grasso, perché il grasso è una colpa imperdonabile, indice di ingordigia, trascuratezza e poco amor proprio. D’altra parte, non deve essere neppure un corpo troppo magro, perché agli uomini piace la carne, le curve al posto giusto ci vogliono, le tavole da surf non ci interessano, e poi le ossa datele ai cani, certo. Ti diranno che il sovrappeso non è “sano“, e quando sarai dimagrita ti diranno che sembri “malata“, ti chiederanno se mangi abbastanza, ti diranno che sei fissata, che non vai comunque bene.–
In secondo luogo, il corpo deve essere giovane, il più possibile, perché invecchiare per una donna è un demerito, mentre l’uomo è come il vino e col tempo acquista fascino e sintomatico mistero. Invecchiare è un lusso che, se hai la figa, non puoi permetterti (a meno che tu non ti prefigga, o non abbia la fortuna, di diventare una milf, cioè una che gli uomini si scoperebbero volentieri anche se non più ventenne). Brizzolato è carismatico, certo, ma noi femmine siamo tutte più o meno disperate dalla ricrescita bianca… (per te che coltivi fieramente i tuoi capelli grigi non vale, lo so, ma per la maggioranza sì). Tra i “complimenti” che abbiamo imparato ad apprezzare di più, subito dopo “Sei dimagrita”, c’è “Li porti benissimo!” (gli anni), anche nella versione “Non l’avrei mai detto!”, oppure “Sembrate sorelle”, se sei accanto a tua figlia teen-ager. Sembrare giovani, appetibili, rizzacazzi è essenziale. Allora vai dal chirurgo, avanti, cosa ti costa, che sarà mai un ritocchino qua e uno là, modificati, rimpolpa, solleva, strizza, riempi, svuota, così poi potranno finalmente dirti che sei brutta lo stesso, che sei di plastica, che sei ridicola/patetica/esagerata, che la tua faccia non si muove più e ormai qualunque tuo stato d’animo è manifestato da una sola espressione ieratica priva di sfumature.
Poi, il corpo deve essere curato, rigorosamente, per gli altri ma soprattutto per noi stesseh, perché quando ci curiamo ci sentiamo migliori, in ordine, piacciamo di più a noi e agli altri, e “piacere” piace a tutti, no? Che colpa c’è? Valorizzati, truccati, idrata la pelle mattina e sera, se no un giorno te ne pentirai! D’altra parte, se ti curi troppo sei una superficiale, una sciacquetta, una che dovrebbe farsi apprezzare per il suo cervello e invece si preoccupa solo dei pori dilatati e del contorno occhi, e discute per ore di cellulite e fondotinta, ma che problemi ti fai, le cose serie nella vita sono altre, cresci!
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Inutile dirlo, il corpo deve essere esposto, ma non troppo. Se sei grassa, non usare gli shorts, per cortesia, che non ti si può vedere. Viceversa, se sei molto in forma, non mostrare le chiappe al vento, a meno che tu non voglia passare per una vanitosa puttanella che butta al cesso decenni di emancipazione per tirare su due like. Che tristezza che fai.

Naturalmente, devi essere femminile (che schifo queste gonne a palloncino che troppo spazio lasciano all’immaginazione, questa moda men repeller, questi vestiti informi, le ballerine, le jumpsuit, i gonnelloni gitani); ma senza eccedere, va da sé, perché se poi ti vesti troppo provocante finisce che sei una bagascia, una che irretisce e concupisce, una che usa il proprio corpo per trarne dei vantaggi (esami, colloqui, promozioni… quale successo femminile non passa tra le cosce?). Viviamo nell’era dell’immagine, baby, il modo in cui ti presenti dice molto di te, dunque scegli: sei una suora o una baldracca? Una frigida o una facile? Sì perché sia chiaro che se, per esempio, usi scollature, aderenze, scosciamenti vari o persino il jeans, sei una che se la cerca, una che ammicca. Una che si merita le molestie, fisiche o verbali che siano. Non lamentarti, poi. Sei tu che turbi e perturbi, colpevole di inturgidimento indotto, eserciti il tuo sex appeal senza buon senso. E non sia mai.
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Non ultimo, il corpo deve essere fertile, si capisce, perché il fine ultimo, ma pure primo, della nostra esistenza – a parte sollazzare gli altri con la nostra gradevolezza e la nostra misurata virtù – rimane sempre lo stesso: procreare, che in sé è una cosa bellissima ma, di nuovo, è una scelta che pertiene la nostra vita e il nostro corpo e da tale dovrebbe essere trattata. Del resto, si sa, il corpo delle donne è capace di miracoli biologici, detiene il potere della perpetrazione della specie, tuttavia non può essere strumento di piacere per le donne stesse che notoriamente hanno questa sessualità cervellotica, un organo che è descritto come “pene in miniatura”, un’eiaculazione derubricata a “piscio” e un punto G (che è un’area, più che un vero e proprio punto) raccontata in maniera nebulosa e mitologica, all’incirca come gli ufo o il mostro di Loch Ness. Una narratologia orgasmica che parla di un piacere difficile, incerto, non garantito, non necessario (per la riproduzione di cui sopra), quando invece è un benessere possibile, plurale, pieno.
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Infine, c’è quella piccola controindicazione del corpo delle donne: le mestruazioni, per le quali ancora si storce il naso, si inorridisce, ci si vergogna, non dirlo ad alta voce, nascondi l’assorbente nella manica per evitare che un collega uomo lo veda e ne resti offeso, santo cielo passa alla coppetta, come ti permetti di inquinare ancora, ma non vorrai farmi credere che le tue finanze cambierebbero se la tassazione fosse quella dei beni di prima necessità, suvvia!
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La cosa sconfortante è che, nonostante anni di attivismo, di evangelizzazione, di prediche, di parità di facciata, di propaganda empowering, di marketing mirato e di femvertising, poi si torna sempre lì, allo stesso punto, da secoli: il nostro corpo, che dovrebbe essere il tempio del nostro potere, e invece diventa il fardello che ci condanna al giudizio, che ci depotenzia, che sposta sempre l’attenzione dai temi reali. E allora ripetiamolo, per la trilionesima volta, che nel 2020 ne abbiamo ancora bisogno: IL CORPO è NOSTRO, davvero nostro, proprio nostro, tutto nostro.
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Cosa significa? Che siamo libere tutte di farci il cazzo che vogliamo.
Di essere belle e brutte, curate e sciatte, lussuriose e asessuate, giovani e vecchie, nude e vestite, riprodotte e non, glabre e irsute, salutiste o tossiche, grasse o magre, toniche o flaccide, canute o tinte, secche o idratate, mestruate o meno.
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Il corpo è nostro, rivendichiamolo cazzo.
E blastiamo senza pietà chiunque – uomo, donna, conduttore televisivo, brand o testata giornalistica – si ostini a trattarci come tappezzeria ornamentale, lusingandoci o schernendoci a seconda di quanto incontriamo il suo gusto, o il suo pregiudizio.
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Articole super! Ti adoro
L’augurio è di essere un corpo e non di abitare un corpo…
Sottoscrivo. Dietro a queste considerazioni sul corpo femminile c’è una concezione rozza, superficiale, mercantile della sensibilità erotica maschile, del maschio consumatore di sesso al supermercato. In realtà questa sensibilità è una cosa sottile. Le nudità attraggono, non c’è dubbio. Per un momento. Ma la vera attrazione non nasce dalla circonferenza della coscia all’altezza dell’inguine. Si accende con uno sguardo, un certo soriso, un modo di porgersi della donna che ti trova interessante.
Amen Vagì. Gira e rigira sempre la torniamo. Che pochezza.
Per ciò che concerne Adele e Silvia Romano sintetizzo il pensiero condiviso con questa frase “la gente dovrebbe farsi i fatti propri”, la prima evidentemente ha intrapreso un percorso che è durato anni per essere in salute, non magra. La seconda esce da un’esperienza traumatica che sicuramente deve ancora metabolizzare. Per ciò che riguarda la Botteri non sono d’accordo. Per me se sei una persona che ha a che fare con il pubblico, che tu sia uomo o donna, devi apparire in ordine ed in un certo senso curata/o, fa parte del tuo mestiere. Non devi essere per forza gnocca, giovane o una modella di Victoria secret, ma 5 minuti per avere un aspetto consono al tuo ruolo li puoi spendere. Un blazer, una camicia semplice e capelli legati non richiedono grande sforzo e sono esattamente ciò che mi aspetto anche da un giornalista uomo, giacca, camicia e barba curata.
Sottoscrivo tutto. Ci sarebbe da capire perché molte donne, troppe donne fanno proprie quelle istanze maschiliste insultando altre donne….
Proprio vero, le prime maschiliste a volte sono (certe) donne.
Purtroppo siamo nate e cresciute in una società fondata sul patriarcato. L’argomento è molto vasto. La nostra diversità inevitabilmente diversifica i tempi (nel bene e nel male)!
Mi capita spesso di rapportarmi a questa categoria, ahimè.
ottimo post. Il vostro corpo è vostro e ne potete fare quello che volete.
Il corpo è sempre politico
Volevo scrivere tante cose ma come sempre non riesco a mettere in ordine i pensieri quindi mi limito a dirti: Grazie.