L’altro giorno ero a Vasto, in Abruzzo, dai miei. Me ne stavo spanzata in spiaggia, sul lettino, rigorosamente all’ombra perché ho l’incarnato chiaro degli aristocratici, quando mi sono sentita con Lucrezia Sarnari, che è una scrittrice ed è uscita da poco con il suo nuovo libro.
Non è stata una vera e propria telefonata (figurarsi) ma più uno scambio di vocali di auto-aiuto, che io generalmente prediligo perché riesco a coniugarli meglio con le altre seicentomila cose che ho l’impressione di fare (la principale delle quali è compilare liste di cose da fare e vivere con l’ansia perenne di tutto quello che c’è da fare e non ho ancora fatto). Inoltre, la telefonata vecchio stile è un privilegio che concedo solo agli over60 che popolano la mia vita, probabilmente perché ho trascorso il 70% della gioventù attaccata al telefono con amiche, amici e fidanzati a distanza, quindi ora che sono adulta non ne posso letteralmente più.
Fatto sta che l’oggetto dello scambio con Lucrezia era la stranezza che entrambe abbiamo percepito nell’ideare, scrivere, correggere, riscrivere, rileggere, modificare, ri-rileggere, mandare in stampa e infine pubblicare un nuovo
libro… nell’anno della
pandemia. Non mi dilungo oltre e non sto a spiegarvi la bizzarria di mettere al mondo un lavoro che si spera serva a qualcosa o a qualcuno, che possa intrattenere, far riflettere, divertire, commuovere, partecipare a una conversazione, possibilmente far guadagnare anche due soldi, e in tutto questo avere l’impressione che il mondo sia altrove. Distante, distolto, indifferente alle nostre epiche fatiche autoriali e a tutti i
significati che ci abbiamo messo dentro, nella speranza che qualcuno li leggesse e scuotesse il capo, annuendo esterrefatto, sedotto.
Perché la verità è che un libro può essere molto bello o molto brutto, fondamentale o insulso a seconda di chi lo legge, ma è pur sempre una creatura che porta dentro un pezzo di chi l’ha scritto: perché dentro c’è per forza l’autrice (uso il femminile, senza offesa) che ci ha lavorato; perché in copertina ci sono il suo nome e il suo cognome, e nell’aletta di sinistra spesso c’è la sua bella faccia sopra poche righe di biografia; perché l’autrice risponde in prima persona delle robe che ci ha scritto dentro; perché da qualche parte in lei c’è ancora una bambina sognatrice e ambiziosa che aspetta il momento in cui prender pace e dirsi “Vedi? Sei capace!” (momento che, per definizione, non può e non deve arrivare, altrimenti quella bambina cresce per davvero, e non sia mai).
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Ad ogni modo, Lucrezia e io ci lamentavamo (oh sì, l’ho detto che ci lamentiamo, anche se nel mondo c’è di peggio, per carità) soprattutto della difficoltà a organizzare gli eventi. Si può, non si può, si fa, non si fa, come si fa? La risposta più rapida al dilemma è semplice: niente presentazioni, tranne che in rarissime occasioni. La risposta più rapida al dilemma è alquanto triste, perché le presentazioni sono quei momenti preziosi di incontro, confronto, scambio, arricchimento che sono fondamentali per l’autore e per il lettore (più per il primo che per il secondo), perché ripagano dei mesi di alienazione spesi a costruire le pagine, parola per parola, virgola per virgola. Perché l’idea di non incontrare gli sguardi e i sorrisi di chi ha trovato qualcosa di interessante nella storia che hai raccontato, è quasi punitiva, lievemente mortificante, e dispiace inesorabilmente.
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Però cazzo vuoi farci?, ci siamo dette. Quest’anno va così, si sa, è logico. Non abbiamo idea di cosa succederà dall’autunno, siamo usciti da un periodo di ribaltamento, di alienazione e paura, di cambiamento sociale e disavventura… ci sta che in libreria ci siano poche copie… ci sta che sui giornali ci siano pochi spazi… ci sta che i festival siano saltati e quelli rimasti puntino su altri autori, in fondo chi siamo noi, calimere, piccole e nere. Ci sta tutto. Ci sta. Ci sta pure la crisi economica, la gente che non ha gli occhi per piangere, le librerie che erano vuote già prima, figurati mò.
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Per fortuna, però, ci stanno anche le cose belle. Ci sta la vita che procede, la famiglia, gli amici, gli affetti dell’età adulta da salutare assolutamente prima di partire, e poi gli affetti dell’infanzia e dell’adolescenza da ritrovare nelle prossime settimane, per imbastire quelle serate strane e piene di impaccio, di chi si conosce bene ma non ha più molto da dirsi, che alla fine ripiegano fisiologicamente sul vituperato connubio “amarcord” (noioso per mogli, mariti e fidanzati acquisiti) e “show-off” (letale per chi si ricorda come eravamo prima di crescere, e imborghesirci, e imparare tutti a prenderci un po’ troppo sul serio). Ci sono gli affetti che abbiamo avuto lontani per mesi e che abbiamo il privilegio di riabbracciare, le passeggiate digestive, le giornate in spiaggia col distanziamento sociale che in spiaggia (ove rispettato) è una figata. C’è l’estate alle porte, i grilli la notte, l’afa che sbatte negli abitacoli coi finestrini aperti. Ci sono le cene all’aperto, i tuffi nell’acqua, l’umidità sulle macchine, le nuotate al largo in apprensione per le meduse, le gite fuori porta, le discussioni di tutta la vita che tornano cicliche perché tutti cambiamo, ma spesso in peggio, e i difetti di fondo restano sempre gli stessi. Ci sono i piccoli scampoli di felicità sottratti all’incertezza del mondo reale. C’è il tempo che passa ma ormai abbiamo imparato a farci la pace (oh sì, credici).
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Alla fine, ho salutato Lucrezia con le parole che un paio d’anni fa mi disse un libraio, durante la presentazione del libro di Valeria Fioretta (che è un’altra autrice bella): i buoni libri, disse, non hanno data di scadenza. Mi permetto d’aggiungere che, come dice sempre mia “suocera”, i libri hanno molta pazienza, assai più di quanta ne abbiano gli umani.
Forse, dovremmo rubargliene un po’, concentrarci sul fatto principale (siamo in libreria col nostro secondo libro) e ricordarci più spesso di esserne felici.
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PS: in questa botta di ottimismo, con un po’ di tigna e determinazione, è successo che farò un mini-tour della
Puglia (perché nessuno è profeta in patria, ma a volte sì), e dunque il
29 luglio sarò a
Bisceglie, alla
Libreria Vecchie Segherie Mastrototaro, alle 19. E il
30 luglio sarò a
Taranto, allo
Yachting Club, alle 21. E il
31 luglio sarò a
Lecce, alla
Feltrinelli di via Templari 9, alle 19. E vi rammento l’esistenza della pagina
Stella Pulpo per essere aggiornati in tempo più o meno reale, su eventuali incontri, appuntamenti, cose varie e tendenzialmente gradevoli (oppure, in alternativa, va bene anche
IG). Quanto a Lucrezia, sarà in giro per l’Italia Centrale, dunque seguitela
qui per sapere dove beccarla ❤
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Bello il tuo sito. Complimenti. Se ti va segui il mio Blog di racconti erotici 😊
Ordinato oggi, spero davvero mi arrivi domani perché non vedo l’ora di rileggerti. Sei cambiata tantissimo Stella, sei davvero cresciuta tanto, come donna e come autrice, e sono fiera dell’esserci stata fin dai tuoi esordi da blogger assieme zio Pinza e zio Luperrimo.
Ahh come mi sento oldie!
Baci
Zia