Cara Milano

Cara Milano, non è stato un anno semplice. Neanche per te. Non solo per tutto ciò che è ovvio, che sappiamo, che abbiamo visto, esperito e raccontato. Non è stato un anno semplice, perché molti di noi hanno iniziato a porsi delle domande su di te. Domande che erano lì, da tempo. Domande che avevamo imparato a metter via, nascondere, rimandare, fagocitati dall’impegno ad adattarci, integrarci, imparare inglesismi, francesismi e acronimi, tenere un ritmo che non ci apparteneva.

Sei la città della mia vita? Voglio restare qui per sempre? I tuoi pro, superano i tuoi contro? Saprei vivere altrove o mi mancheresti da matti? Se andassi via mi sentirei fallita o liberata? Si può rompere restando in buoni rapporti? Si può ricucire lo strappo?

E tu, Milano cara, come ti senti? Noi ti siamo mancati almeno un po’? Ci sei rimasta un pochino male quando migliaia di persone che ti abitavano, sono scappate via? Quando non hanno trovato in te e nella vita che offrivi loro motivi sufficienti per rimanere o per tornare, nonostante l’efficienza, i servizi, l’impeto cinetico del tuo divenire (sempre più cool, sempre più #PlaceToBe)?

Cara Milano, come ti senti, spogliata dei tuoi eventi, di quella vocazione al futuro e alla crescita, di quella fede incondizionata in te stessa, città migliore, avamposto di civiltà, avanguardia culturale, la città dove i sogni diventano realtà, dove l’impegno produce progetti e risultati, dove lavori, guadagni, paghi e pretendi? Come ti senti, adesso? Coi tavoli della pausa pranzo vuoti e con le stanze sfitte?

Come ti senti, Milano nostra? Ferita? Fiera? Inorgoglita? Tenace? Impoverita? Alleviata dal peso di tutti quegli stronzi che non ti hanno mai capita, hanno sempre detto che l’unica cosa bella che avevi era il treno per andare via e che finalmente si sono tolti di torno? Loro, e i loro consumi. Loro, e i soldi che spendevano nei tuoi esercizi, nei tuoi negozi, nei conti correnti dei tuoi proprietari di casa.

Cara Milano, tu sei una città splendida, sul serio, un posto giusto al momento giusto; hai le tue regole, i tuoi linguaggi, una specie di provincialismo inconsapevole coniugato a un’ambizione metropolitana ammirevole. Brulichi di storie, stimoli, opportunità, persone interessanti. Ma qualcosa si è inceppato nel mondo, e pure in te. E forse, come succede sempre dopo le crisi, questo è il momento giusto per contenere i danni. Per non perdere altre persone, altri consumi, altri guadagni. Per dimostrare un carattere che non è solo storytelling.

Questo è il momento per abbassare i prezzi. Per riequilibrare i pesi. Per avere un po’ di sincerità e dirci che volete che restiamo qui, che siamo parte di questa città e del suo valore. Che grazie alla pandemia vi siete resi conto che non è plausibile spendere una mensilità di stipendio per pagare un affitto. Che non è umano abitare in 20 metri quadrati. Che nei seminterrati vacci te. Che non abbiamo lasciato la Puglia, la Sicilia, la Campania, la Sardegna, l’Abruzzo, il Molise, le Marche, la Liguria o la Toscana (e un po’ tutte le stupende regioni italiane) per andare a vivere a Carugate, con tutto il rispetto per Carugate e per chi ci abita, non la conosco, magari è un posto bellissimo. Forse è il momento giusto per ammettere che gli anni 80 sono finiti da un pezzo, che la generazione dei milleuristi ormai tiene 40 anni e porta ancora addosso i segni del precariato con cui è diventata adulta, che le relazioni sane (con le persone e con i luoghi) si fondano sulla reciprocità, non solo utilitaristica, ma pure ideale, emotiva, valoriale.

Ci aspetta un lungo autunno. Sapremo adattarci ma, forse, bisogna che ci racconti davvero come ti senti, Milano cara. Con onestà, fallibilità, vulnerabilità. Con un pizzico di quell’umiltà necessaria a riconoscere i propri errori, a ritrovare la propria anima sociale, a ricordarla a noialtri: che Milano non è solo un meme, una t-shirt, una posa su Instagram, un hashtag. Che Milano è la città capace di crescere, di interpretare il tempo che vive, di sperimentare soluzioni nuove, di inaugurare una stagione più votata all’ascolto che all’autocompiacimento, più concentrata sulle persone che sono l’anima della città (anche fuori dalla cerchia dei bastioni), e sui loro bisogni, che sulla narrazione vincente nella quale vincono sempre gli stessi.

Sia chiaro, io non sono nessuno. Anzi, sono solo una delle innumerevoli persone che ti ha vissuta, scoperta, capita, amata, odiata, scelta. Una di quelle che a Milano è cresciuta negli ultimi dodici anni e che a Milano ha lavorato, prodotto, contribuito, intessuto relazioni, messo un po’ di radici. E so che ce ne sono tante di persone come me. E penso che perdersi sarebbe un peccato. E questo vale per noi, certo, ma pure per te, Milano cara.

8 commenti Aggiungi il tuo

  1. metalupo ha detto:

    Sì, ti confermo che Carugate fa cagare.
    Fossi il mio Maestro direi qualcosa ad effetto tipo “preparatevi per i fuochi” ma il mio nichilismo non è COSÌ puro, vedo solo un gran puttanaio all’orizzonte.
    Qui, nella nostra bella Milano.

  2. Io sono rimasta. Però capisco tutte le domande che le persone si sono fatte e la paura di non farcela più. Io l’ho ri-scelta. Ora se il costo della vita si riequilibrasse con il reddito di 40 medio sarebbe ok. 😅

  3. Atipico ha detto:

    Per una Carugate c’è anche una Monza, 12km a nord di Milano, bel centro storico, parco recintato più grande d’Europa e Villa Reale. Questo per dire che “Milan l’è un gran Milan” ma si può vivere anche a distanza facendoci una capatina solo quando serve senza viverne ogni giorno le problematiche pesanti da grande metropoli. Quando mi è capitato dì girare, in ferie, in moto per l’Europa, mi sentivo a casa quando sui cartelli (auto)stradali trovavo scritto “Milano km…”. Quello era il momento in cui pensavo di essere a casa e una lacrimuccia scendeva all’interno del casco.

  4. 321Clic ha detto:

    Anche io continuo sceglierla nonostante tutto. Quattro anni non sono così tanti, ma abbastanza da aver piantato radici consistenti.
    La mia casa mi piace tantissimo, lo sai, ma mi costa metà stipendio. Il pornoimmobiliare va avanti anche qui (sia mai che ne spunti una che mi piace altrettanto ad un prezzo umano), ma non ho visto diminuzioni dei prezzi, anzi.

  5. pino josi ha detto:

    Sarà peggio, molto peggio, tutti i mancati incassi andranno recuperati, il cinismo aumenterà e così via. I posti come Milano dopo una crisi del genere incarogniscono, le differenze sociali sarranno ancora più ampie, Quello che sinpuò sperare è che i”terroni” che riempiono la citta imtando i milanesi e questa milano ideale, dinamica, sda bere ecc smettano di farlo, l’umico vero antitodo sono loro,

  6. newwhitebear ha detto:

    lettera aperta a Milano col cuore in mano. Viverci è complicato, vivere nell’hinterland e lavorare a Milano può essere un incubo per i mezzi di trasporto, per le distanze che sembrano appartenere a un altro mondo perché per fare pochi chilometri bisogna armarsi di pazienza e perdere tanti minuti o forse ore.

  7. Vannalisa Scafaria ha detto:

    Onestamente io spererei che di vocazione al sogno,opportunità, persone interessanti fossero piene anche altre città italiane, non solo Milano. Perché limitarsi a lei?

  8. AQUILIO TODINI ha detto:

    Trovo molto interessante questa “lettera aperta” alla città di Milano, perché la considero di valenza pressoché globale nel sollevare una questione che prima della pandemia ci si rifiutava di affrontare: il rischio di ritrovarsi in “contesti ostili”.
    Legittimi i tanti punti di domanda e, seppure in misura diversa, gli stessi Quartieri di Roma, Milano, Parigi, Londra e via elencando, già presentavano carenze tali da alimentare “crisi di convivenza” più o meno accentuate.
    Tutte le città, con i loro territori di riferimento, comunali e/o metropolitani, costituiscono un «modello di convivenza» a cui i cittadini si rapportano, seppure in maniera più o meno consapevole. Non a caso i «comportamenti» individuali e collettivi sono – di luogo in luogo – legati a questi modelli a cui ci si dovrebbe riferire in maniera virtuosa e produttiva.
    Ora è innegabile la presenza di una problematica nuova, che soprattutto i trenta-quarantenni dovrebbero affrontare dedicando tutto il tempo libero di cui dispongono. Serve un superiore grado di progresso, se si vuole arrestare questa pericolosa deriva e neppure si confidi in migrazioni più o meno fortunate: tutti i Sindaci si troveranno a dover “Equipaggiare le città” ridisegnando i «modello di convivenza».
    https://secure.avaaz.org/community_petitions/it/sindaci_dei_continenti_equipaggiare_le_citta_partecipazione_consapevole/

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