La Seconda Volta

Mi sono svegliata stamattina in una Milano plumbea, con l’aria umida e la temperatura pungente. Piove da un numero imprecisato di ore e la luce è notturna, già alle 10 del mattino. Tocca accendere le lampade e pure il riscaldamento (a proposito dei consumi che aumentano con lo smart working). Oggi è uno di quei giorni in cui non diventa giorno mai. Un toccasana per l’umore. Come se non bastasse, è lunedì, l’ultimo del mese di ottobre

Per un attimo mi viene in mente tutta la retorica che è sempre stata riservata al lunedì in quanto tale, colpevole di ricondurci ai nostri doveri ufficiali, dopo il weekend. Mi chiedo quanto ci manchino i lunedì in cui ricominciava la scuola normale, in cui si tornava in ufficio dopo le ferie e si incontravano i colleghi, e ci si raccontava, tutti in una versione migliore e più rilassata di se stessi. Mi chiedo se abbiano ancora senso i dispositivi culturali che usiamo da millenni per misurare, scandire, circoscrivere il tempo, per illuderci di governarlo, di esercitare qualche forma di controllo su di lui. I giorni. Le settimane. I mesi. Gli anni, come questo 2020, che al suo interno ne contiene 10, contiene anzi un’epoca intera, la fotografia di un pasticcio colossale: il rimpianto del passato, l’incertezza del presente e la paura del futuro, tutto mischiato, impazzito.

Per carità, lo sapevamo. Sapevamo che sarebbe arrivato l’autunno e che con sé avrebbe portato il freddo, la seconda ondata di contagi e le nuove restrizioni. È che per un po’ abbiamo preferito non pensarci. Per un po’ abbiamo avuto bisogno di illuderci, di bere birre a un tavolino all’aperto, di andare in spiaggia, di rivedere gli amici e i parenti lontani (pur senza abbracciarli e baciarli, che per alcuni è una mutilazione sociale non da poco). Abbiamo fatto tutto in uno strano stato di alterazione, di consapevolezza sospesa, senza pensare davvero e senza dimenticare sul serio. E ora siamo di nuovo qui: chiusi in casa con i soli congiunti, muniti di autocertificazioni, attenti alle sirene nell’aria di città già più silenziose, svuotate. 

I pallini che indicano gli slot per la consegna della spesa a domicilio tornano rossi. Fuori dai negozi si riformano le code. Dal campetto di calcio non si sentono più partite, fischi degli arbitri, cori di incoraggiamento. La pizzeria sotto casa chiude, perché con il solo asporto non ce la fa a coprire i costi. La psicoterapeuta saluta dicendo: “Verosimilmente è l’ultima seduta dal vivo”. Annulliamo i viaggi, gli impegni. Sospendiamo i progetti o li ripensiamo in chiave digitale, piatta, a distanza. Ci auto-prepariamo all’idea che, come la Pasqua, anche il Natale lo passeremo da soli (e, sia chiaro, mentre lo scrivo, una fitta di dolore mi pizzica il petto). Sappiamo cosa sta succedendo, e non ci piace, non ci va bene, non ci rassicura, non ci stimola. E non potrebbe essere diversamente. Sappiamo che, per certi aspetti, a questo giro sarà peggio (anche per il semplice fatto che non ci aspetta la primavera, con i suoi colori e i suoi raggi di sole vomitati dentro casa; nossignori, ci aspetta il temibile inverno, uno dei più lunghi che percepiremo nella vita). Siamo già stanchi, già provati, già annoiati, già impoveriti, già in crisi. Abbiamo già la sensazione di aver perso troppo tempo, troppi soldi, troppe opportunità, troppo stabilità, troppa vita (a dispetto dell’evidenza che ancora ce l’abbiamo, la vita). 

Così, l’altro giorno pensavo a come avere un approccio lucido a questa situazione (io che sono una femmina iper-emotiva, di quelle che proprio confermano gli stereotipi). Perché, per carità, è vero che sarà più dura, però è vero pure che non è più la prima volta e, di conseguenza, abbiamo più strumenti per gestirla. Abbiamo imparato qualcosa (si spera). 

Per esempio, abbiamo imparato che le esigenze del singolo vengono meno rispetto a quelle della collettività, e che a volte è necessario fare dei sacrifici. La storia, l’epoca in cui vivi, te lo impone, per una ragione o per l’altra. 

Poi, abbiamo imparato che rifiutare o negare la realtà non è un modo per migliorarla. 

Poi, che c’è una differenza tra le scorte ragionevoli, e le spese apocalittiche per rifornirsi di tonno in scatola da ora alla fine di tutti i tempi, manco fossimo dentro un film del ciclo Alta Tensione di Canale5. 

Poi, che fare movimento diventa necessario, quando rischi di passare giornate intere a fare massimo 50 passi, per trascinarti dal letto alla scrivania, dal gabinetto al divano. E che questo vale per tutti. A costo di percorrere il perimetro di un terrazzo. A costo di fare su e giù dalle scale. A costo di riesumare la cyclette che altrimenti giacerebbe abbandonata – come tutte le cyclette – in un angolo della camera da letto (possibilmente, coperta di vestiti). Questo, a meno che non siate degli sportivi veri e, dunque, lo sport lo facciate comunque (tipo i celeberrimi runner).

Poi, abbiamo imparato che non possiamo lasciare il vuoto cosmico nei nostri cervelli, non possiamo riempirci di polemiche e meta-polemiche, di negatività su tutti i fronti, assorbendola indistintamente come spugne dai mass media, dalle chat di gruppo su whatsapp, dai video-aperitivi che ci inchiodano davanti al monitor per due ore e mezza ogni santa volta. 

Abbiamo forse imparato che in quel tempo che scorre, dobbiamo infilarci altri contenuti. E quindi dobbiamo e possiamo tornare ad ascoltare musica, ballare (magari bruciamo altre 20 calorie), leggere libri, vedere film, studiare (pensate, abbiamo gli strumenti per imparare tutto quello che vogliamo, per il puro piacere di farlo, qualsiasi materia, lingua o linguaggio, anche solo per noi stessi, senza nessuno che ci debba interrogare poi, ma per il raro privilegio di capire qualcosa di che cazzo succede nel mondo! Certo, come sempre, occhio alle fonti).  

Abbiamo imparato che fare esperimenti gastronomici improbabili (come quel sabato che mi venne in mente di fare i gyoza) regge per un po’, ma non ci basta (a meno che non arda in noi il fuoco sacro di Cannavacciuolo) e che dobbiamo capire cosa ci fa sentire meglio davvero, che sia fare sciarpe di lana ai ferri, rispolverare un vecchio hobby, pensare un progetto creativo, capire come sopravvivere economicamente, imparare abilità nuove e compatibili con il nuovo stile di vita, cambiare casa, cambiare lavoro, cambiare città, cambiare moglie o marito. Trasferirsi al mare, o in montagna, o in campagna. Anche se, nei fatti, staremo fermi per un po’. 

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Abbiamo capito che forse dovremo trovare modi nuovi per stare vicini alle persone che amiamo, per amare in senso lato, per restare umani e non ridurci a essere solo consumatori passivi di merci e servizi.

Abbiamo imparato che la “viralità” non è una cosa bella, ci siamo ricordati che i virus non ci fanno bene, e questo sembra particolarmente sinistro dopo un decennio in cui il mercato e la società non hanno chiesto altro che quello: la viralità. Viralità delle campagne marketing. Viralità delle fake news. Viralità vera e viralità rifatta. Comunque sia, viralità. Forse questa situazione ristabilirà un po’ il senso delle idee, delle parole, delle cose.

Sarà più dura per certi aspetti, sì, è vero, ma abbiamo capito che dobbiamo elaborare quello che ci accade, e per riuscirci dobbiamo essere lucidi, non impanicati, e neppure insofferenti. Dobbiamo essere intelligenti e un po’ intransigenti, dobbiamo subordinare le nostre istanze a quelle dell’insieme, dobbiamo adattarci per sopravvivere, che poi è ciò che fanno le specie per non farsi falcidiare dalla selezione naturale. Si modificano per andare avanti. 

Troviamo il modo di modificarci, anche in positivo. Abbiamo, come genere, un sacco di margini di miglioramento. Di cosiddette “aree da presidiare”. Di difetti da correggere, insomma.

È l’unico senso che riesco a trovare nel momento storico che attraversiamo che, inutile negarlo, è uno dei più amari che abbiamo mai esperito. 

Vi abbraccio, metaforicamente.

S.

 
 

3 commenti Aggiungi il tuo

  1. metalupo ha detto:

    Pensa che io me la sono goduta questa giornata di pioggia ventosa che sa di november rain.
    È questione di averci il sole o la nebbia, nel sangue.
    Il pesce alla griglia o la polenta col brasato.
    Tutto qui, ci si nasce.
    Ma davvero, questa, totale, disperata, cialtronaggine impreparata, mi sta mettendo paura.
    E va che mettere paura al maschio alfa non è semplice (ok ok scherzo).
    Questi qui giocano col fuoco e promettono “ristori” ma chemminkia dite.
    Ci sono 12000 persone in Italia che aspettano la CIG di MAGGIO diocristo.
    Questi come cazzo mangiano.
    Si ristorano.
    Teniamo duro hon, la nottata passerà, prima o poi.

  2. newwhitebear ha detto:

    ci siamo illusi e non abbiamo prso sul serio che ci sarebbe stata la seconda ondata. Da qui l’insofferenza a ripercorrere l’esperienza di primavera.
    Personalmente vedo nero, io che per natura sono ottimista.

  3. Diemme ha detto:

    L’ha ripubblicato su Scelti per voie ha commentato:
    Splendido articolo!

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