È sempre lei che.

I giganti buoni. I raptus di gelosia. L’amore folle. Gli imprenditori brillanti. I padri di famiglia che ammazzano tutti. I ragazzi che sono solo ragazzi. Le goliardate tra amici. 

C’è sempre un modo per non chiamare le cose con il loro legittimo nome. Per edulcorare. Per rendere meno brutale ciò che si racconta. Per far sembrare la violenza, qualsiasi tipo di violenza, un fenomeno accettabile, dai contorni sfumati, dalle responsabilità incerte.

C’è sempre un concorso di colpa a svantaggio della vittima, per cui succede che – in un modo o nell’altro – è sempre lei che fa qualcosa: è lei che se la cerca, è lei che fa quei video, è lei che tradisce, che lascia, che ammicca, che provoca. È lei che ha bevuto troppo e che s’è vestita troppo poco. È lei che è stata incosciente, è lei che si è avventurata in quel posto, è lei che non ha chiesto aiuto, è lei che è stata troppo furba, o al contrario troppo ingenua. È lei che. È sempre lei che. 

Così mi è venuto in mente che qualche tempo fa, quando io e il mio compagno discutevamo, non potevo avanzare la minima rimostranza senza sentirmi rispondere: “Sei tu che…” 
Allora non lo ascoltavo più e gli facevo il verso (non fatelo a casa, non serve a niente, non aiuta mai): “SEI TU CHE, SEI TU CHE, NON SAI DIRE ALTRO! Quand’è che parli di ciò che, invece, fai tu?”, gli chiedevo. 

Ed è questo che mi chiedo: quand’è che parliamo davvero di ciò che fanno gli uomini
No, non si tratta di generalizzare, ma di unire i punti, di riconoscere il sostrato culturale su cui poggia la virilità in quanto tale, traballante, prepotente o evoluta che sia.

Si tratta di smetterla di pensare che la violenza non faccia parte delle nostre vite, che non ci riguardi, che non ce la portiamo dentro, che non ci misuriamo ogni santo giorno con quella pubblica e quella privata, quella dei comportamenti e quella del linguaggio. Si tratta di smetterla di pensare che la violenza sia una soltanto e che ci sia estranea, che non capiti a noi o ai nostri cari, che in fondo siamo persone perbene, capaci di governare frustrazione e collera. Che noi non abbiamo nulla a che fare con certi casi di cronaca nera, con certi titoli di certi giornali, con certi giudizi, con certe sostanze, con certi commenti che grondano livore sui social. Si tratta di iniziare a vedere il problema sistemico che c’è nell’umano, in generale, e nel maschio e nella femmina, in particolare. 

Lo capisco, è più “facile” starsene sugli spalti, tifare, rimbalzarsi responsabilità e non vedere che il quadro generale, per tutti, è sconfortante: non ne esce bene nessuno, nel complesso facciamo abbastanza cacare.

È più semplice continuare pensare che il problema sia altrove, e non accorgersi che invece il problema è ovunque: ne abbiamo pezzi nelle nostre case, nelle nostre famiglie felici, nelle cerchie di amici stretti, nelle cloache di Telegram dove ragazzetti minorenni si scambiano immagini di fidanzate e di sconosciute, tutte “cagne in calore”, tutte troie da punire. Questo per non parlare dei gruppi whatsapp ad alto tasso di testosterone, quelli del calcetto (o similari), dove uomini insospettabili, spesso padri di famiglia, non di rado di figlie femmine, non fanno che intasarsi reciprocamente di video e foto di tette enormi, e culi generosi, e fighe depilatissime e generalmente giovanissime, a qualsiasi ora del giorno… una cosa che mi mi fa sempre pensare: “SUBUMANI”, ma ho torto a pensarlo, lo so, anche questa è una scorciatoia che non coglie il punto. 

E il punto, a mio umile avviso, è che tutto questo non abbia nulla a che vedere col desiderio, con l’erotismo, con la spinta vitale e gioiosa all’accoppiamento, e neppure con la pornografia. Si tratta, piuttosto, di una compulsione bulimica al consumo del femminile, nella quale il femminile è ineluttabile oggetto, mai soggetto. Il femminile è un trofeo, una merce di scambio, una proprietà a cui non si è disposti a rinunciare, un terreno sul quale esercitare potere, uno strumento di autogratificazione, una prova evidente di rigogliosa eterosessualità, un’idea incompiuta nella quale la santa e la puttana sono due facce della stessa medaglia: o sei l’una o sei l’altra, anche se sono la stessa cosa, due ruoli speculari cui adempiere in tempi e modi differenti, con il risultato garantito di non andare comunque mai bene.  

Questo vuol dire che tutti gli uomini fanno schifo e che tutte le donne sono vittime? Certo che no. Vuol dire che solo gli uomini sono violenti? No. Vuol dire che solo gli uomini sono misogini? Men che meno (ci tengo a dirlo per risparmiare ai commentatori più zelanti la fatica di rompere i coglioni nei commenti). Pur tuttavia, resta il fatto che per osservare la faccenda nella sua complessità (perché minchia se è complessa), dovremmo sollevare il punto di vista, invece che spingerlo nei bassifondi più putridi della nostra società, nel gossip, nei singoli pruriti dei casi specifici (che pure meritano le loro analisi, è ovvio).

Vuol dire che dovremmo porci delle domande, cercare dei perché meno facili di quelli cui facciamo ricorso. Vuol dire che dobbiamo presidiare la società a partire dalle mura domestiche che, com’è noto, spesso sono efficienti officine di violenze e prevaricazioni. Vuol dire che dovremmo imparare a riconoscere la violenza che tutti ci portiamo appresso e che dovremmo iniziare a chiamarla con il suo nome, indipendentemente dalla forma con cui si presenta.


Domani è la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (che, per chi si sentisse svilito dal sessismo, celebrano questa gloriosa ricorrenza in virtù del fatto che da millenni vengono discriminate, ammazzate, mutilate, vendute, date in spose fin da bambine e via discorrendo). 

Domani leggeremo poesie e citazioni, aforismi e ipocrisie incrociate.

Vedremo foto di lividi e di fiori. 

Ascolteremo discorsi accorati e dati agghiaccianti. 

Ci sentiremo impotenti, solidali, incazzate.

Ripeteremo: MAI PIÙ, MAI PIÙ, adesso basta!

Ma sappiamo che, invece, non basta mai.

Sappiamo che purtroppo, mai più un cazzo.

Sappiamo che finché non cambi almeno una variabile, finché non la cambi sul serio, il risultato finale non può che essere lo stesso.

Ed è un risultato pessimo.

6 commenti Aggiungi il tuo

  1. metalupo ha detto:

    L’imprenditore brillante, sembrano sempre personaggi inventati, da romanzo.
    Non è mai così.
    Mai.

    1. Sabrina ha detto:

      Il fenomeno delle chat di uomini maturi, padri di famiglia e professionisti che si inviano compulsivamente immagini che più che all’erotismo sono vicine alla ginecologia e alla proctologia, quasi sempre di ragazze giovanissime, è tanto diffuso quanto preoccupante. Brava Stella, hai fatto bene a porvi l’attenzione e a farne un punto di partenza su cui riflettere tutti. Molta della fenomenologia della violenza si coltiva ANCHE da lì.

  2. wolf into the wild ha detto:

    Osservazioni interessanti e che aprono a nuove forme di consapevolezza. Ho sctitto anche io oggi alcune riflessioni nel merito della maestra Piemontese… il coraggio di guardare dalla parte di lui… io non so se c’è luce in fondo al tunnel, ma mi sembra di si…

  3. Vlad ha detto:

    essere molto attratti dal corpo femminile o maschile o da alcune sue parti è lecito, riguarda uomini e donne. quel che è sbagliato è condividere materiale non consensuale

  4. cb ha detto:

    Come dice la graphic novel da pugno nello stomaco di Ulli Lust, “Troppo non è mai abbastanza”…Sono passati 40 anni dal suo viaggio in Italia, l’eguaglianza di genere sul piano pubblico ha fatto passi da gigante, ma le dinamiche intime e domestiche non sono cambiate. Se non è un problema sistemico questo.

  5. fracatz ha detto:

    certo che sempre più nascere in alcuni paesi piuttosto che in altri per le vagine munite fa grossa differenza, perlomeno analizzando la cosa da cittadino occidentale e la rabbia assoluta per le 73 vergini che spettano a tutti i martiri nati in certi luoghi

Parla con Vagina, Vagina risponde

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