I figli li fanno anche i criceti – Skin to skin

29 giugno 2021 – Notte (più tardi)

“Eccomi!”

Arriva Francesco, tutto trafelato e bardato di mascherina, cappellino e camice verde. Si avvicina, accompagnato da un’infermiera che lo scorta alla mia sinistra, mentre un’ostetrica mi attacca una flebo di non so cosa.

“Così la vede meglio”, gli dice la tipa, ma lui non capisce, non sa che si riferisce a sua figlia. È convinto che tutto debba succedere, mentre tutto è già successo.

Quando raggiunge il mio fianco, scopro leggermente l’esserino arrampicato su di me, che mi giace tranquillo sul cuore, che mi respira la pelle, lo straordinario prodotto di una combinazione accidentale dei miei geni con i suoi. Solo allora realizza: Bianca è nata. Lui è arrivato tardi. Avrebbero dovuto chiamarlo dall’ospedale mentre ero in travaglio, ma del mio travaglio nessuno si è curato e, dunque, ha ricevuto la telefonata 9 minuti prima che la bambina nascesse. Nove minuti appena. Cinquecentoquaranta secondi. 

Lo osservo mentre la guarda per la prima volta. Sgrana gli occhi, spalanca leggermente la bocca, amore mio, dice a lei, poi a me, poi amori miei, a entrambe, tramortito (lui!), con una voce strana, un parlato stentato misto a versi sciocchi, una specie di lallazione adulta, frutto di un micidiale connubio di stupore e stupidità, felicità potremmo dire, smarrimento, un’ubriacatura a stomaco vuoto da cui non si torna indietro. 

“Adesso avete due ore per stare insieme”, ci dicono, prima di abbassare le luci e concederci un po’ di privacy. Restiamo così, soli, in una bolla rarefatta, in questa ambientazione sterile e surreale, che sembra un’astronave, una capsula che viaggia nella galassia dell’ignoto, in transito tra una fase della vita e l’altra. La piccola fa movimenti accennati, si mette la manina in faccia, la pelle è rugosa, le unghiette tutte storte, i capelli unti. Ha gli occhietti aperti, due fessure curiose e spaesate. Non è abituata a questa luce, a questo freddo, a questa forza di gravità. È il suo primo incontro con la vita così come la conosciamo, il suo debutto nel mondo che abitiamo, dove non si galleggia nel liquido amniotico, dove fa freddo, dove i rumori non sono attutiti dal grembo materno. 

“Come stai tu?” mi chiede Francesco, mentre fluttuo nell’orbita di un pianeta altro, come se le ultime ore mi avessero masticata e sputata lontano, restituendo alla vita una poltiglia di me, duttile materia organica tenuta insieme dalla saliva della sopravvivenza. Come sto io? Sono incredula. Sono distrutta. Sono forte, più di quanto avrei immaginato. Ho fatto qualcosa di straordinario. Ho dato la vita. Sono Dio Onnipotente, cazzo. Sono una e trina. Signore e signori, ecco a voi il Padre Eterno. Anzi no, la Madre Eterna. 

“Sono… sconvolta” mi limito a rispondere. Gli racconto per sommi capi quanto avvenuto, ma senza scendere nei dettagli, lo faremo poi, con più calma, per il resto dei nostri giorni. Adesso siamo qui. Noi tre. Godiamoci il momento. È uno di quelli che, finché si è vivi, non si dimenticano. 

Guardiamo nostra figlia con occhi gonfi di un’emozione non classificata, sconosciuta, posta in qualche punto impreciso tra la conquista e la perdita, la detonazione e il collasso. La osserviamo disarmati, rapiti da ogni sua infinitesimale manifestazione di esistenza. 

A un certo punto rientra nella stanza un’ostetrica di mezza età. È scorbutica, mentre per la prima volta conduce Bianca al mio seno e l’aiuta ad attaccarsi, il tutto segnalandomi di indossare la mascherina (che ho sotto il mento, sai, ho appena sgravato).

“Ma è la prima volta che ci guardiamo”, rispondo “Non voglio che mi veda con la mascherina in faccia”. 

“Tanto non vede niente”, replica brutale l’altra, e così inauguro la sensazione di essere una madre imbecille. Un disagio con cui imparerò a convivere in fretta. 

“Ora ti portiamo la colazione”, mi dice un’altra, e io sono lì che sogno una brioche di Sissi, di quelle farcite al momento, con una tonnellata di crema pasticciera che cola ovunque, come una dolcissima lava dorata. Invece, arriva il solito thè con le fette biscottate in busta e la marmellata da hotel tre stelle. Meglio di niente. 

Nel frattempo, Francesco va a sbrigare alcune questioni operative: innanzitutto, recupera le mie valigie nel reparto “Patologie della gravidanza” che, data l’urgenza della fuga in sala parto, sono rimaste lì. Dentro, ci sono anche i completini di Bianca e dobbiamo prendere il primo per la vestizione.

In secondo luogo, si dedica alla burocrazia, per la quale nutre un appassionato feticismo: nella vita c’è chi gioca a calcetto, chi si aliena alla PlayStation, chi pratica il bricolage, chi suona nella band del liceo anche se tiene 50 anni, chi si cimenta con le scommesse o gli investimenti in criptovalute. Francesco, invece, scansiona, conserva, archivia tutto con zelo incomprensibile e ritrova qualsivoglia documento, referto medico, fattura, fotografia, con suprema agilità. Un’abilitá di cui io sono tragicamente sprovvista. 

Registra il nome della bambina, provvisoriamente, in attesa della consacrazione anagrafica vera e propria, che avverrà domani. Lo stampano su un braccialetto plastificato che metteranno alla caviglia di Bianca, come si fa con i bagagli in aeroporto, metti che ce la perdiamo, ed è solo il primo passo di un lungo iter, la concezione legale di una persona nuova, con un nome e due cognomi, un certificato di nascita, una tessera sanitaria sua, un codice fiscale (Francesco è insensatamente felice del fatto che includa la sequenza milanese “F205”) e un documento di identità che ne certifichi l’esistenza indipendente da me e dal mio utero. 

Dopo un po’, mi riportano Bianca nella culla, lavata, pesata e vestita, e la parcheggiano accanto al mio letto. La guardo in faccia, per la prima vera volta.

“Ehi tu, piccolina…” le dico. 

“Chi sei tu?”

Ne osservo i lineamenti distesi, la pelle che pare albicocca, la boccuccia che si schiude in linguacce inconsapevoli, il cappellino che le va largo… e io che temevo uscisse testona! È stanca, mezza addormentata. Ci sta. Abbiamo avuto un bel daffare, io e lei. Somiglia al padre. Non capisco se sia bella, ma in effetti non mi pare brutta. Cosa ne so. Sono tutti uguali, appena nati. 

“Quanti chili?” chiedo a lui, con l’apprensione che mi attanaglia da quando ho varcato la soglia di questo ospedale, che è un’apprensione piena di tutto, dei legittimi timori per le due settimane di anticipo, ma pure delle mie radici pugliesi.

“2 chili e 910 grammi”, risponde Francesco, e io penso che è il peso esatto che – secondo iMamma, l’app che ha accompagnato la mia gestazione paragonando le dimensioni di mia figlia a quelle di diverse tipologie di frutti – avrebbe dovuto avere. Bianca si è fermata al livello meloncino. Non è mai diventata un’anguria.  

“E l’Apgar?” incalzo, che è un punteggio che si dà immediatamente ai neonati per misurare le loro capacità di adattamento alla vita.  

“9 su 10” mi dice. 

ODDIO, COS’HA CHE NON VA LA NOSTRA BAMBINA?

Nulla, è solo che ha i piedini blu. È normale. Stai tranquilla. Va tutto bene. 

Me lo ripeto. Va tutto bene.

Stiamo bene.

4 commenti Aggiungi il tuo

  1. metalupo ha detto:

    “Insensatamente felice” parla per te, F205 forever.

  2. Cristina ha detto:

    Nessuno, a meno che non sia nato a Milano, può capire il senso di appagamento e appartenenza che ti dà l’F205…
    F205 è casa.
    F205 è quello che vuoi trasmettere ai tuoi figli, altro che i propri geni o il cognome!

  3. goldie ha detto:

    un momento magico a cui pensavo durante la gravidanza ma di cui, purtroppo, sono stata privata a causa della pandemia. ho potuto vedere il mio piccolo solo dopo molte ore (mi hanno tenuta in isolamento perchè non arrivava l’esito del mio tampone covid), nessuna infermiera si avvicinava alla mia stanza per paura anche se poi sono risultata negativa, chiedevo informazioni sulla salute di mio figlio e nessuno mi diceva nulla… ore lunghissime e tremende. ho rivisto il mio compagno (e lui ha incontrato per la prima volta suo figlio) solo fuori dall’ospedale, quando ho oltrepassato la porta trascinando a fatica valigia ed ovetto da sola, nonostante un cesareo d’urgenza con complicazioni. leggo le tue parole e riesco a immaginare come sarebbe dovuto essere… grazie per averlo fatto provare anche a me.

  4. newwhitebear ha detto:

    i primi momenti dopo lo stress in cui si comincia a focalizzare che è nata e che tutto va bene.

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