29 giugno 2021 – Notte fonda
Mi alzo con l’ausilio di due ostetriche. Mi tengono a destra e a sinistra, come se potessi cadere da un momento all’altro, tipo un frutto incolto che si abbandona nel vuoto e picchia contro il terriccio umido, per lasciarsi marcire. Il fatto inconfutabile, comunque, è che sono passate due ore dal parto e sono in piedi sulle mie gambe. Certo, non si può dire che non mi senta spanata come una cozza appena divelta, né che cammini con un portamento elegante. Ma sono in piedi, e questo è ciò che conta.
Devo andare in bagno. Mi accompagnano. Mi accovaccio sulla tazza, vedo molto sangue, mi gira la testa, chiamano Francesco. Gli dicono di aiutarmi, come se volessero responsabilizzarlo. Come se non lo percepissero abbastanza partecipe e consapevole del mio stato. In effetti, questo suo scollamento dalla mia realtà fisica ed emotiva segnerà tutto il puerperio e a questo proposito esorto i futuri papà a documentarsi, perché in quelle prime settimane post-parto non dovranno occuparsi solo di un essere umano molto piccolo, di cui comunque in larga parte si occuperà la madre, ma soprattutto di una donna che ha fatto una cosa infinite volte più potente e più devastante di quei loro 10 secondi di gloria.
Quando ho finito in bagno, mi fanno sedere sulla sedia a rotelle e mi portano lungo il corridoio, verso il nuovo reparto di degenza. Mentre passo, spinta da non so chi, tutta l’equipe mi saluta, mi rinnova gli auguri e i complimenti per il parto sprint che ho fatto. “Sei stata un caterpillar”, mi dicono, e io mi sento come quella volta che ho preso 10 al compito in classe di italiano, e tanto è stato sufficiente a convincermi che, nell’assoluto vuoto di vocazione della mia adolescenza, la scrittura dovesse diventare il mio strumento di espressione, di seduzione, di vita. Mentre sono ormai convinta che il mio parto sia stato così speciale che nell’Ospedale ne parleranno a lungo, e la leggenda di me riecheggerà nelle sale di questa struttura, provo incredulità per me stessa. Com’è possibile che i complimenti colpiscano la mia vanità persino in un momento come questo?
Allontanandomi, sento delle urla disumane, simili a quelle che devo aver emesso io stessa poche ore prima. Scappano tutti, un’altra vita sta per nascere.
Dunque è questo il rantolo, il ruggito, il verso disperato che produciamo quando mettiamo al mondo una creatura. Chissà se anche le balene, le leonesse, le giraffe, patiscono allo stesso modo. Chissà se è un destino che tocca in sorte alle femmine d’ogni specie, o solo a noi.
Arrivo all’ingresso del nuovo reparto. “Puerperio” dice la scritta sulla porta. Bianca viene dirottata al nido, dove la terranno per qualche ora, mentre io vengo indirizzata in quella che sarà d’ora in poi la mia camera. L’ultima in fondo al corridoio, che è buio e silente, tutti dormono, sono le 3 del mattino del resto.
Francesco mi accompagna fino alla soglia della stanza, non entra. Ci salutiamo così, potremo rivederci alle 16.30, per l’orario di visita. Mi sembra un tempo lunghissimo. Mi sembra assurdo non dormire insieme, stanotte. Che poi non avremmo dormito comunque, e chissà per quanto in effetti non dormiremo più ma, voglio dire, stenderci accanto, stringerci forte, intrecciare i miei piedi che sono sempre freddi con i suoi che sono sempre caldi (benefit di cui in effetti si gode più a gennaio che a giugno). Sentire di esserci, prendersi le mani, dirsi che è successo, ripetersi quanto è pazzesco, quanto siamo state forti, e complici. Cose così. Cose così mi mancheranno tantissimo, stanotte.
Entro nella camera che, nonostante il buio, appare evidentemente angusta. Faccio attenzione a non fare rumore per non svegliare la mia compagna, mi stendo nel letto, scrivo ai miei e invio la primissima foto di Bianca, che ho scattato in sala parto. “Ho creduto di morire…” scrivo, e allego l’immagine.
“Riposati adesso” mi dice l’ostetrica notturna, e io in effetti sono stanca, stanchissima, ma non riesco a chiudere occhio. Vorrei addormentarmi, vorrei approfittare di questo momento di tregua, ma no, niente da fare. Credo di essere in overdose di endorfine e di tutte quelle altre sostanze benefiche che di solito secerniamo – in dosi certamente più compatibili con il normale svolgimento delle proprie funzioni – quando mangiamo cioccolata, quando facciamo sesso, quando pratichiamo sport.
Ogni singola cellula del mio corpo è vigile. I pensieri sono scomposti. Il vaso delle emozioni s’è rovesciato sul pavimento e c’è casino ovunque, una gioia inafferrabile, una paura sfuggente, un’esaltazione viscerale; c’è una crepa che si insinua al centro, che frattura l’identità, che la riduce in macerie, che la rende cantiere. È la vita che accade, che strappa, che dona. Sono io che galleggio ignara, e a tratti nuoto, in un brodo di umanità. Sospiro.
Sono spossata e felice, che è quasi il titolo di una canzone di Carmen Consoli.
Alle 4 del mattino ricordo che posso dormire come voglio: prona, supina, di fianco, a testa in giù. Non ho più un’altra vita dentro, oltre la mia. La mia pancia è sgombra, ne sono di nuovo padrona. Provo una sensazione ambigua, uno straniamento nostalgico. Sono finalmente libera, ma in qualche modo svuotata.
Infine, m’addormento. Per ben 2 ore.
Questa parte è quella che ho sentito di più dentro di me. Intendiamoci, ho avuto due figli, per cui capisco molto bene tutto ciò attraverso cui sei passata. Ma il “dopo” è una sensazione che ricordo ancora molto bene, nonostante siano passati 22 anni dal secondo bambino. E’ qualcosa di solo nostro, che i papà non possono capire. Io ricordo che ho provato una gioia così grande da non poterla contenere, era oltre qualsiasi sensazione di felicità mai sperimentata (poche volte in verità). Impossibile dormire quando stai così. P.S. Bianca è un nome bellissimo.
belle descrizioni delle forti emozioni che hai provato dopo la nascita. Pensieri in libertà ma altrettanto sinceri e potenti.
Attendo il momento. Ignara e frenetica, presuntuosamente consapevole, impaurita, un po’ stanca… apparentemente coraggiosa . Mi specchio nelle tue parole come fossero la trama di un film che anch’io mi auguro di recitare allo stesso modo. Due/tre settimane e saprò …
Grazie dell’autentica condivisione. La verità è sempre difficile da trovare.