10 cose sulla Maternità

Tra Rihanna al Super Bowl, che si è esibita col pancione su piattaforme fluttuanti sospese nel vuoto, e i monologhi sanremesi di Chiara, rispettivamente Francini e Ferragni, in questi giorni nella mia bolla si fanno molte conversazioni sul tema “maternità“. Più del solito, voglio dire. Così, ho deciso di prendermi qualche minuto di tempo per fare un po’ di chiarezza, per me stessa. Poi ho deciso di condividerla. Metti che torna utile a qualcuno.

Partiamo col dire che i diritti riproduttivi femminili sono da sempre oggetto di dibattito sociale, politico e morale e, spesso, anche di una certa propaganda culturale: i figli vanno fatti, possibilmente almeno due, e se non li fai sei un’egoista, te ne pentirai, resterai per sempre incompleta o, peggio ancora, se non li fai perché non sei fertile, vuol dire che sei una donna a metà e probabilmente è comunque colpa tua, che avrai aspettato troppo, certamente per rincorrere qualche sciocca ambizione di autodeterminazione (e che non ci venga mai in mente che l’infertilità possa dipendere dall’uomo, mi raccomando, non che sia una gara).  Se poi, addirittura, abortisci, sei un’assassina.

Esiste anche una corrente minoritaria, ma presente, che esprime una fiera avversione childfree di cui sono probabilmente stata io stessa rappresentante in passato, e di cui sono certamente stata oggetto nel momento in cui sono diventata madre: una cosa tipo “Ormai sei una pancina come tutte le altre, che noia, eri meglio prima, tolgo il follow”. Uhm. Okay. In effetti. Addio.

Oggi  viviamo in un momento storico in cui ci sono diverse voci che stanno provando a decostruire gli stereotipi legati alla maternità e, soprattutto, a proporre una narrazione alternativa, che includa la pluralità di esperienze e di motivazioni di chi sceglie di diventare madre, di chi vive benissimo anche senza, di chi vive senza ma invece vorrebbe tanto che, di chi non ci penserebbe nemmeno sotto tortura.

In ogni caso, però, la pressione sociale è ancora molto forte, in tutti i sensi, e il peggio è che è estremamente capillare. C’è un giudizio morale su qualsiasi aspetto dell’esperienza genitoriale – in particolar modo femminile – che inizia dal concepimento e continua fino ai titoli di coda della vita di una madre (ma in realtà di qualsiasi donna).

Parto naturale o cesareo? Con o senza epidurale? Latte in formula o allattamento naturale a richiesta? Svezzamento classico o alimentazione complementare? E si va avanti così: lavori o non lavori? Full-time o part-time? Non ti senti in colpa quando non sei con tuo figlio? Dorme ancora con te? Lo allatti ancora? A proposito, il secondo quando lo metti in cantiere? Non vorrai mica lasciarlo così, senza fratellino o sorellina! 

Ecco, abbiamo bisogno di dire chiaramente alcune cose: 

1. Esistono donne felici di NON avere figli e donne felicissime di averli, e comunque la vita delle donne non si consuma, né si esaurisce, in questa polarità.

2. La potenzialità riproduttiva non è l’unica di cui siamo dotate, e non è l’unica che ci interessi universalmente perseguire. 

3. Tutte le donne che diventano madri, non smettono per questo di essere donne, professioniste, figlie, amiche, amanti. Possono sospendere un po’, diradare le loro attività o la loro presenza, ma non perdono la loro identità. Devono integrare nel puzzle, questo sì, un nuovo, ingombrante e irreversibile pezzo. Non è semplice.

4. Le donne col loro corpo ci fanno quello che vogliono, non spetta a nessuno approvare o condividere le loro scelte (che siano riproduttive, chirurgiche, estetiche o sessuali). 

5. Le madri sono tutte diverse fin dalla prima volta che partecipano a un corso preparto: ciascuna ha la sua storia personale; le circostanze della sua vita, che sono diverse da quelle delle altre, anche quando sembrano simili; ciascuna ha le sue esigenze; ciascuna ha sue paure e i suoi limiti. Valgono tutti. 

6. Essere madri non è una performance, non c’è nessuno che deve applaudirci o fischiarci. 

7. Essere madri non è una competizione, alla fine non c’è una medaglia o una coppa.

8. I figli hanno bisogno di madri serene, dunque se vogliamo parlare di maternità, chiediamoci di cosa hanno bisogno le madri per essere serene. La risposta sarà che hanno bisogno di aiuto, che vuol dire più asili nido, una redistribuzione del lavoro di accudimento familiare e dei congedi parentali; tempo da dedicare a se stesse in quanto individui adulti; soprattutto: un lavoro, un’indipendenza economica propria (parliamo dei tassi di disoccupazione femminile, della disparità salariale, della percentuale di donne sprovviste di un loro conto corrente).

9. Il primo passo per far nascere una madre serena, è che quella madre non sia sottoposta a violenza ostetrica nel momento in cui partorisce. Investire risorse nella sanità pubblica, in termini di organico e di formazione, potrebbe essere una buona idea, così, a naso. 

10. Il secondo passo per far nascere una madre serena, è che quella si senta libera di NON allattare, senza essere per questo considerata, all’unanimità o quasi, una madre di merda. Che si senta libera di non essere felice, che si senta libera di non riconoscere il suo corpo, che si senta libera di non essere un’eroina e che venga supportata. In certi Paesi evoluti, lo Stato ti manda a casa l’aiuto di cui hai bisogno in quanto puerpera. Per carità, non è la panacea di tutti i mali, ma è qualcosa.

Insomma, se la maternità è un tema che ci appassiona abbastanza, parliamone pure. Che il pretesto sia una kermesse nazionalpopolare o un caso di cronaca nera, facciamolo. Uniamo i punti, però. E, per carità, in linea generale, smettiamola di interrogare le persone, le donne in particolare, in merito ai loro progetti riproduttivi. Le donne non devono dare spiegazioni a nessuno: che questi figli li facciano o non li facciano; che ne facciano uno o che ne facciano 5; che non li facciano per scelta o per circostanza; quale che sia il caso, non deve essere di nostro interesse. Non mi sembra complicato. Eppure, a quanto pare, comprenderlo è impossibile.

    7 commenti Aggiungi il tuo

    1. GIULIA ha detto:

      A causa dell’endometriosi mi è sempre stato detto che sarebbe stato difficile aver figli bioloigici, nessun problema non ho mai avuto voglia di figli e in caso sono sempre stata a perta all’adozione (meno per i 30000 di spese vari, ma è un’altra storia). ho amiche con filgi che mi dicono “non sai ” e io quando mi chiedono qualcosa non dico Seconod me è così o così, perchè non sono madre, posso affidarmi al mio istinto ma ascolto, sorrido e dco “solo te sai cosa è meglio per voi”…perchè se c’è una cosa che a me da più fastidio dell’essere considerata donna difettosa per non aver fatto figli e quando donne o persone senza figli vogliono fare lezione a chi ha figli….non so mica se il mio commento è chiaro:P

    2. Margherita Grigolato ha detto:

      chapeau

    3. Atipico ha detto:

      Riguardo alla pressione sociale e al fatto di farne minimo 2 la cosa ha delle implicazioni pensionistiche. Non sto scherzando. Servono 2 persone per fare un figlio. Queste 2 persone prima o poi non saranno produttive. La prole dovrà essere produttiva al posto loro e quindi meglio farne 2 di pargoli che sostituiranno i 2 genitori. È per questo che nei paesi sottosviluppati le famiglie sono numerose: fanno tanti figli perché i genitori sperano così che i figli si accollino la loro vecchiaia visto che a quelle latitudini non esiste un sistema INPS (che poi da noi è una gran merda). Da qui il grosso problema italico del calo della popolazione, dei conti pensionistici sempre in rosso (troppi vecchi rispetto ai lavoratori), necessità di persone immigrate a tappare i buchi etc. lo so, ho perso la poesia della natività però il problema sociale del non fare i figli è quello. Ps: io non ho figli.

    4. Viviana Susca ha detto:

      Che siano anche libere di scegliere di non lavorare e stare più tempo a casa se questo le rende serene. Anche questo continuo ostracizzare chi sceglie (parlo di scelta consapevole non imposta !) di stare a casa un po’ da fastidio, è sempre un sentirsi giudicate quindi tutto ok e condivisibile quello che scrivi ma aggiungerei anche la scelta di non lavorare.

      1. Mo ha detto:

        Io invece penso che l’articolo vada bene cosi e che se l’autrice non vi ha inserito la scelta di non lavorare (quindi farsi mantenere dagli altri) è perché non la condivide o non la ritiene tanto importante quanto gli altri punti, ad esempio

    5. Maurizio ha detto:

      Finalmente! Dopo sette mesi di silenzio rieccoti con il 158° articolo delle “memorie” tutte diligentemente archiviate. Un saluto farcito di congratulazioni ed auguri, Maurizio.

    6. pollywantsacracker ha detto:

      Credo che fare figli e non farli, invece, abbia un impatto molto forte sull’identità che gli altri percepiscono e quindi sull’identità in generale.
      La mia vita, negli ultimi 18 anni, ha preso una strada specifica in cui essere madre è una parte importante di me, di come affronto la vita, delle scelte che faccio e di come vengo percepita. Il tutto trapiantato in una persona con un’esperienza di vita specifica e indipendente dalle figlie; una vita relazionale, sessuale, lavorativa e valoriale propria, che non ha mai cessato di esistere.
      No, non credo che se non avessi avuto figli avrei capito/ condiviso le scelte che ho fatto per supportare la mia famiglia, però questo non significa che il mio tempo o la mia vita valgano di più perché sono madre. Semplicemente, sono esperienze di vita diverse, che non devono essere vagliate da una società che ci supporta ben poco.
      Ma aspetta, quella società che giudica non siamo forse sempre noi?

    Parla con Vagina, Vagina risponde

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