Guardo pochissimo la tv generalista. La prassi serale, qui, dopo aver messo a letto la creatura, prevede di default l’accesso a Netflix, o Amazon Prime, o Now, o so io quale altro servizio di streaming nel quale dilapido le mie finanze (il mutuo mi imporrà una necessaria spending review).
Raramente trovo qualcosa che mi piaccia davvero. Spesso, trascorro minuti interminabili a cercare un contenuto che mi invogli e che non mi faccia collassare entro un quarto d’ora (o che non faccia collassare il mio compagno, anche perché quello russa e capite che non è il massimo).
Del resto, in questi anni ho fatto – come moltissimi altri – un consumo bulimico di serie tv, documentari, mockumentari, factual e presunti reality, dunque non provo più piacere nel guardarli. Se esce qualcosa che mi piace, dura sempre troppo poco. Persino Call my agent mi ha risolto 3 serate. E cosa sono 3 serate nell’immensità del tempo passato sul divano dopo cena, oltre una certa età? Prima guardavo i talk politici. Nel 2020 ho smesso, se no impazzivo. Il giovedì sera che c’è Masterchef è il climax della mia settimana televisiva.
Di conseguenza, mi succede spesso di pensare che dovrei usare quel tempo per fare cose più utili o più gratificanti di guardare la quarta stagione di You (no, sul serio): parlare, leggere, uscire, scopare, allenarmi, preparare le scatole per il trasloco, documentarmi seriamente su qualche aspetto dell’imminente apocalisse globale, ma poi che vuoi, alla fin fine, sono stanca. Al massimo, dormo.
Ieri sera, però, ho atteso con ardore la prima puntata di Belve perché, come il 100% delle persone che conosco, apprezzo Fagnani e perché Belve è l’unico programma che lenisce la mia incurabile nostalgia per le interviste barbariche (Bignardi, manchi).
Ho seguito poco Anna Oxa (pur apprezzandone moltissimo la stilosità), perché era il momento amore-mettiamo-pigiamino; ho seguito male Wanda Nara, perché non riuscivo a non guardare le sue tette e i suoi capelli (chiedendomi se avesse le extension) e ho voluto bene a Naike Rivelli, per quella storia delle vulve tutte belle, tutte diverse.
Nel mezzo, naturalmente, ho ascoltato il Presidente del Senato Ignazio La Russa che si è presentato come una macchietta con problemi d’udito, una furba caricatura vivente di se stesso. L’ho ascoltato in silenzio, mentre parlava di trascorsi bombaroli e di traumi collettivi causati dalla morte di un giovane poliziotto (non di un ventenne in generale, specificatamente di un ventenne dell’arma).
Ho continuato a fissare lo schermo, mentre parlava della possibile omosessualità di un figlio come di un dispiacere per i genitori, equiparando orientamento sessuale e fede calcistica, con tutti i disfunzionali corollari del caso, sull’auspicabile “somiglianza” tra genitori e figli: una somiglianza fisica, dal momento in cui vengono al mondo (vi amiamo molto, noi madri, quando ci dite che sono la copia sputata dei padri), ma soprattutto valoriale, professionale, politica e, a quanto pare, pure sessuale. Su questo, però, ho letto un interessante pezzo che trovate qui.
Certo, l’apoteosi per me è stata quella storia sulla parità di genere, che in effetti non era niente male: la parità si realizzerà quando in Parlamento potranno sedere donne grasse, brutte e sceme (del resto il livello estetico è già sceso, l’ha detto, segno evidente dei progressi verso la parità che stiamo compiendo nel nostro Paese). Esattamente come gli uomini, ha aggiunto. Ce ne sono tanti: bassi, calvi, imbolsiti, coi denti storti, le mani paffute e sudacchiate, la fiatella. Lo immaginiamo bene.
Però, caro Ignazio Benito Maria, c’è solo un fatto che mi preme segnalarti e giuro che ti risparmio la ramanzina sul body-shaming (te ne avranno fatte tante, tutte perfettamente inutili): la parità non si realizzerà finché ci saranno persone sceme, per non dire altro, sedute in Parlamento, e altrove. Uomini o donne che siano. Non si realizzerà la parità, non si realizzerà una ripresa economica, non si realizzeranno provvedimenti per il cambiamento climatico, non si realizzerà alcuna traccia di giustizia sociale e, in ultima analisi, non si realizzerà la sopravvivenza. Perché per sopravvivere bisogna essere intelligenti. Solo che a volte non basta. Bisogna chiedersi, se mai, perché non sia sufficiente, l’intelligenza, e cosa serva per sedere sulle poltrone comode. Perché ciò di cui abbiamo bisogno non è solo la quantità di donne, ma la qualità di tutti. Forse non è un tema di poca intelligenza. Forse è un tema di troppa, generale, cialtroneria. Anche qui, cialtroneria per non dire altro.
Al di là di cos’abbia detto satana la ruzza, volevo consigliarti, Vagi, di togliere letteralmente la televisione da casa. Risparmi sul canone Rai e la vita sembrerà più bella. Avendo un compagno stabile tromberai di più, anche se hai prole a carico molto piccola, e la mattina ti risveglierai col sorriso stampato in faccia. Prova.