A un anno dal trasloco

Un anno fa, esattamente oggi, abbiamo traslocato. Pensarci mi fa uno strano effetto perché, da allora, mi pare che di anni ne siano trascorsi almeno tre. È un buon segno, credo. Significa che abbiamo vissuto 12 mesi intensi, ricchi, pienissimi. Li sento e li vedo tutti, nei solchi sul mio viso, nelle consistenze del mio corpo, in quella stanchezza insanabile che, ormai l’ho capito, non recupererò mai. 

Entravamo in questa casa dopo aver fatto l’impossibile, che ci è parso tale finché non l’abbiamo appunto fatto: i casting per il mutuo, il rogito, i lavori in casa mentre consegnavo un nuovo libro, poi 50 scatoloni di oggetti e di ricordi impacchettati per il trasferimento in un nuovo spazio; il tutto con un bambina di 20 mesi da gestire, che camminava tra le cianfrusaglie da buttare, o regalare; e le altre, da conservare. 

Il giorno del trasloco è stato il più assurdo. Sveglia all’alba, bambina all’asilo, il nostro appartamento in un palazzo di inizio secolo invaso da una squadra di energumeni che in 40 minuti l’hanno svuotato di tutto, ogni cosa. Le stanze sgombre che apparivano a tratti più grandi, a tratti più piccole; la sporcizia dietro i mobili della cucina; i segni degli armadi per terra, dove il parquet non si era ossidato e aveva conservato una tonalità diversa. Il camion per la strada. Il divano e i letti che scendevano giù, tra le fronde degli alberi. C’era il sole. La via ci salutava. Il quartiere che ci aveva visti camminare, bere cocktail, rientrare tardi, ridere, litigare, incontrare amici, mangiare fuori, fare compere, circolare con le mascherine in viso, e infine spingere un passeggino con dentro una bambina piccolissima con gli occhi grandi. La portinaia Monica, triste, più di noi. Ciao casa.

E poi l’arrivo di là, cioè di qua. Tutto rientrava, dalla finestra. Si ammassava negli angoli liberi. Sembrava insormontabile, inaffrontabile. Un accampamento. L’esplosione nucleare dell’accumulo consumistico di oggetti materiali. Eravamo distrutti e dovevamo ancora cominciare. Eravamo nervosi, provati, invasi, disorientati. 

Siamo partiti dai libri. Poi le stoviglie. Poi i vestiti. Lava, pulisci, riponi, riorganizza. Per smaltire tutto ci abbiamo messo circa 7 mesi. Abbiamo appeso la lampada a sospensione in soggiorno a novembre, i quadri alle pareti  la settimana scorsa, i ganci dietro la porta per le felpe in autunno. Abbiamo comprato le piante, le abbiamo rinvasate, e al momento ne abbiamo uccisa una soltanto.

Quando torniamo nel vecchio quartiere ci viene il magone ma qui, alla fine, non stiamo male. È una Milano diversa e la stiamo abitando. Sappiamo in quale scuola andrà nostra figlia dal prossimo settembre. La vediamo ogni giorno correre felice su e giù per il soggiorno, o nel corridoio, dalla sua cameretta alla nostra. Sul marciapiede dietro casa. Verso lo scivolo al parco. I bagni li usa entrambi, a seconda di come le va. Afferma già, però, che quello piccolo, adiacente alla sua camera, è il suo.  

Non abbiamo ancora fatto un house warming party. Non so se lo faremo mai. Ci siamo limitati a qualche cenetta intima. Abbiamo ospitato a dormire nonni e amici. Abbiamo riempito la casa di palloncini e festoni per il secondo compleanno di Bianca. Abbiamo addobbato un grande albero a Natale. Abbiamo deciso che quando avremo due soldi in più, se mai li avremo, non li spenderemo per la cucina nuova o per rifare i cessi poco instagrammabili, ma per una vacanza, di cui abbiamo oggettivo bisogno. Mancano ancora le mensole, le ultime luci, quell’affare per esporre le bottiglie di vino, forse le tende, dei veri mobili per una vera cameretta. Mancano ancora dei pezzi, mancano sempre, va bene così, è giusto così, diventiamo e cambiamo continuamente, ci adattiamo, scopriamo come si fa giorno per giorno. Manca ancora una foto di noi tre, insieme. Quella sì, dobbiamo stamparla. 

Il primo anno è passato e queste mura hanno iniziato a riempirsi di giochi, ricordi, storie, discussioni, risate, nanne, tramonti metropolitani e raggi di sole, incursioni clandestine nel lettone di mamma e papà, e graffiti non autorizzati sulle pareti, e attentati al parquet (maledetti giochi di legno)… e molte coccole, molti baci, molte pernacchie, stesi insieme, sul tappetone, nel soggiorno. Noi procediamo, cresciamo e invecchiamo, e speriamo di trascorrerne molto tempo, qui, insieme, a sopportarci e soprattutto amarci, in quel modo imperfetto, incasinato e disorganico, che ci è tanto caro, che è molto nostro. 

(questo post me lo salvo e lo rileggo nei momenti torbidi in cui penso nefandezze e mi chiedo con veemenza chicazzomelhafattofareammé). 

Un commento Aggiungi il tuo

  1. Maria ha detto:

    Che belle emozioni, a me piace pensare che ogni casa rappresenti una fase della nostra vita ❤️

Parla con Vagina, Vagina risponde