Tu che vivi un amore non corrisposto; tu che vorresti trovare conferme al tuo “io”, e invece collezioni rifiuti. Tu che vorresti avere un po’ di meritata gratificazione e sentirti riconosciuto come il bravo ragazzo che sei, mentre invece passi per sfigato; tu che vorresti spiegare ma non sai parlare; tu che vorresti capire ma non sai guardare (soprattutto dentro di te, perché figurarsi se pensi che sia necessario farlo); tu che semini premura e raccogli disincanto; tu che coltivi fantasie e accumuli frustrazione; tu che vorresti soltanto che l’oggetto del tuo amore (che resta pur sempre un soggetto autonomo, senziente e pensante) si arrendesse alla potenza (e al potere) del tuo sentimento; tu che “ami” con ostinazione nonostante i segnali avversi, e che scambi la tua ossessione per motivazione, il tuo tormento per passione, il possesso per desiderio e il controllo per cura; tu che soffri e disperi, e pensi che la tua sorte sia ingiusta, e la tua vita insulsa, sappi che ci sono molte cose che puoi fare.
Se l’amore che provi non è corrisposto, hai un ampio inventario di reazioni possibili: soffrire in silenzio, piangere, ammorbare gli amici, ascoltare Battisti e piangere ancora. Puoi spasimare, andare in psicoterapia, leggere “I dolori del giovane Werther”, scrivere, comporre, digiunare, ingozzarti di biscotti mentre affondi in un binge-watching ininterrotto su Netflix, contare le pecore la notte, provare il chiodo-schiaccia-chiodo, ammazzarti di seghe, consultare una cartomante oppure la mamma, persino il prete va bene, se sei di quel genere lì; o magari un life coach, perché no. Puoi alzarti e lavarti, cominciare a fare sport, curarti di più, cambiare look; puoi tinteggiare le pareti di casa, buttare i vestiti vecchi, fare volontariato; puoi prenotare un viaggio d’impulso, commiserarti, incazzarti con te stesso, drogarti, smettere di drogarti, logorarti, reagire, implodere, crescere, fartene una ragione e capire in ultima analisi che l’amore presuppone una vicendevolezza consensuale. Una reciprocità necessaria e mai eterna, non garantita a vita e dunque, a maggior ragione, più preziosa.
Ci sono molte cose che puoi fare, insomma, se provi un amore non corrisposto. Innanzitutto capire che quella è un’esperienza condivisa con la maggior parte del genere umano: non sei il primo, non sei l’ultimo, e neppure il solo. Certo, i più recenti secoli di propaganda romantica hanno reso molto più travagliata la disavventura sentimentale, sovraccaricandola di significati che in altre epoche non sarebbero neppure esistiti, ma il dato palese è che l’amore corrisposto è un fatto eccezionale, frutto di molto culo e di molto impegno, di allenamento e pazienza, di capacità di dialogo e di silenzio. Dunque la norma – ciò che moltissimi uomini e moltissime donne esperiscono a più riprese nella vita – è un amore non corrisposto, un amore zoppo, svilito e deludente, come siamo noi esseri umani, che di quell’amore siamo interpreti, destinatari ed emissari.
Non sei più sfortunato di tutti gli altri, non sei più stupido, più inadeguato. Succede a tutti, un po’ per malinteso, un po’ per circostanza e certe volte pure per una specie di autentica disperazione passeggera, di innamorarsi di qualcuno che non ci corrisponde, che non va bene per noi. Qualcuno che invece di farci sentire speciali, ci restituisce il sapore amaro del fallimento, del non essere mai abbastanza, del non valere a sufficienza. È normale, non è una tragedia, se non la rendi tale.
E sì, è vero. L’amore è bello, l’amore fa bene, l’amore sa di buono e se quella delizia non la senti, vuol dire che non è amore. Ma questa è una sintesi semplice, perché l’amore, anche quello per bene, non è mai un roseto privo di spine. L’amore è bello, ma a volte è pure una merda, ed è normale così. È un sentimento capace di proiettarci attraverso sette cieli per cullarci su nubi di melassa, ma è pure capace di catapultarci all’epicentro del nostro inferno personale. Talmente in basso, alle volte, che per scendere più giù raschiamo con le unghie il fango di noi stessi, e poi prendiamo una vanga e scaviamo un buco, tutti intenti a seppellirci la nostra autostima, la misura di noi, il nostro amor proprio (che quasi sempre, in quei momenti, corrisponde a un bottino molto scarso).
La costruzione di un amore spezza le vene delle mani e mischia il sangue col sudore, se te ne rimane, cantava Mia Martini, e un po’ è vero. L’amore è un materiale raro ma abusato, difficile e semplicissimo, richiede sensibilità, rischio, forza, volontà, vulnerabilità. Si confonde in fretta, si spaccia per altro, degenera, sottoposto alle tensioni più irrisolte della nostra intimità individuale, alle tare di cui non siamo consapevoli, ai danni che abbiamo e che procuriamo a chi ci è più prossimo; ma pure agli attentati della vita, agli sgambetti del sistema, all’indice dell’empatia che pare più capriccioso e insondabile dello spread. E alla rabbia, naturalmente. Uh, quanta ne scorre in una storia d’amore, nei litigi furiosi, nelle scorte di quotidiano risentimento, nelle bugie più o meno grandi che diciamo all’altro e a noi stessi, nel fisiologico disaccordo, nell’insofferenza a ciò che dell’altro prima ami e poi detesti, negli errori, negli anni rubati a costruire una macchina che non ci conduce dove vorremmo.
E, di solito, dove ci piace immaginare argini, segnaletica orizzontale e dighe contenitive, ci sono quasi sempre rapidi e gole profonde, tumulti emotivi, impeti ingovernabili, pulsioni, istinti, puerilità, insicurezza, paure, bisogni e rifiuti. Quasi sempre, quando sei in quel punto bassissimo di te, sei sordo, sei cieco, sei lobotomizzato. Se hai la fortuna di avere amici che ti dicono che sbagli, non li ascolti. Se li ascolti, non li capisci, non hai la lucidità per farlo. Se li capisci, non li assecondi perché comunque non ce la fai. Se non hai neanche questa fortuna, è un vero problema. Se non hai nessuno con cui parlare di ciò che provi. Se non hai nessuno che sappia ascoltare. Se non ci pensi neppure che quel malessere, verbalizzato, tirato fuori, reso concreto, possa assumere sembianze antropomorfe, meno mostruose di quanto accade se, invece, lo occulti negli abissi di te.
Ora, non voglio essere fraintesa. Che l’amore deve fare bene, è sacrosanto, è una verità inoppugnabile che andrebbe impressa sui muri dei palazzi, incisa sulle pelli come promemoria (almeno facciamoci tatuaggi utili, per noi e per gli altri), stampata sulle t-shirt e affissa ovunque, siamo d’accordo. Ma l’amore è un materiale assai più duttile di quanto la retorica del “per sempre” ci abbia insegnato a sperare. L’amore è una suggestione che affonda le radici assai in profondità, intrecciandosi con il lato più oscuro di noi, che poi diventa il lato più oscuro dell’amore che presumiamo di vivere, di provare o di rivendicare. Quello che finisce sui titoli ignobili dei giornali più imbarazzanti, per intenderci. Quello che campeggia trionfale sopra un articolo che parla di un omicidio e di una vittima che non esiste più, per mano di chi sosteneva di amarla (un articolo, cioè, che parla di un femminicidio).
Ecco, se provi un amore non corrisposto, ci sono moltissime cose che puoi fare. Ammazzare la persona che sostieni di amare, per esempio, non è un’opzione contemplata. Neppure insistere, molestarla, stalkerarla, minacciarla, metterla a disagio, ingaggiare un sicario, darle fuoco, mutilarla, evirarla o versarle l’acido in faccia. Cioè se fai queste cose devi ammettere che non sei un innamorato, neppure il più disgraziato. Sei altro, e non compete a me dire cosa.
L’amore per definizione contempla l’altro, lo rispetta, lo tutela, lo protegge se è proprio necessario. Non lo soffoca. Non lo opprime. Non lo sopprime. Non lo considera una proprietà, né un diritto acquisito. Non lo usa come strumento di affermazione e negazione di sé.
L’amore vuol dire uscire da sé, restando in sé; richiede abbandono, ma soprattutto consapevolezza: chi è la persona che amo, e perché la amo?
La risposta deve dirti chi è, non chi tu vorresti fosse.
La risposta deve dirti perché ti innamori di qualcuno che ti respinge, che non ti ama e che, anche involontariamente, nel non ricambiare il tuo sentimento, ti mortifica.
L’amore può fare male, ma fa soprattutto bene.
Fa bene, ammesso che sia il bene ciò che vogliamo per noi stessi e, di conseguenza, per gli altri.
l’amore non deve diventare un qualcosa di morboso. Uccidere per amore è un controsenso, vuol dire che non ami veramente l’altro/a.
L’amore è bello e fa bene quando c’è empatia da entrambe le parti. In tutti gli altri casi, no.
chi ti ama, corrisposto o meno, non ti uccide, se lo fa vuol dire che non ti ama. la propaganda romantica centra poco
L’amore è quell’illusione che si racconta l’essere umano nel tentativo di sentirsi “speciale” nei confronti delle altre creature del pianeta…in realtà è solo un astuto stratagemma della natura per farci accoppiare…(da un misantropo cinico e nichilista)
non concordo
Concordo sull’astuto stratagemma della natura.
Ma concordo ampiamente con ogni singola parola scritta da Vagy, che come al solito, centra magnificamente il punto.
Questo post andrebbe affisso su ogni muro, ovunque.
Ciao! Mi piace molto il tuo blog, se mi contatti al babibier@hotmail.com ti spiego un idea che ho avuto, magari ti potrebbe interessare!
Barbara
Bellissimo articolo condivido ogni parola ❤